Anche il caso Reina (vero o presunto) affonda le sua radici nel papponismo. Il rapporto ricorda il ruolo del capofamiglia nel film “Finché c’è guerra, c’è speranza”
Il caso Reina
Gratta gratta, il presunto tormentone Reina su quali basi poggia? Ma su quelle del papponismo, ça va sans dire come direbbero a Parigi (dove invece stanno muti e della presunta trattativa non hanno fatto fin qui nemmeno un accenno). Perché uno degli aspetti più interessanti del successo del Napoli – in città – è l’amnesia collettiva su Aurelio De Laurentiis e sui meriti che ha avuto e che ha nella crescita costante – inarrestabile potremmo dire – del suo e del nostro Napoli.
L’altra sera abbiamo giustamente omaggiato Maurizio Sarri. Doveroso. Sarri è l’allenatore che ha portato il Napoli due volte consecutive in Champions. Dopo aver perduto tre confronti andata e ritorno su tre, ne ha vinto uno. Decisivo. È un passaggio importante, lo abbiamo scritto. Non è importante il valore del Nizza, è importante aver vinto una partita (sui 180 minuti) che andava vinta. E giocata con i favori del pronostico.
Ma va anche ricordato che Maurizio Sarri – oggi giustamente elogiato in Italia e in Europa, tra gli allenatori più interessanti e più bravi in circolazione – è al Napoli da due anni, adesso è al terzo. È stato ingaggiato da Aurelio De Laurentiis, ma questo è ovvio. Non è superfluo ricordare che il Napoli starà per giocare la quarta Champions League. Per la quarta volta, il Napoli è tra le prime 32 squadre d’Europa. E un’altra volta siamo rimasti fuori per aver perduto il preliminare contro l’Athletic Bilbao. Se non fosse stato per gli strani criteri imposti da Platini all’Uefa, il Napoli sarebbe stato ancora una volta in seconda fascia.
A Napoli sembra che tutto sia piovuto dal cielo
Tutto questo a Napoli sembra essere piovuto dal cielo per opera e virtù dello spirito santo. È tutto dovuto. Era tutto previsto. Era previsto che una società prelevata in Serie C nel giro di undici anni diventasse tra le prime quindici d’Europa, partecipasse a quattro Champions e arrivasse in semifinale di Europa League (oltre a due Coppe Italia e a una Supercoppa vinte).
Società che viene condotta in solitudine – qualcuno sostiene in troppa solitudine, e se ne può discutere – da Aurelio De Laurentiis. L’altra sera, a Nizza, Sarri ha fatto giocare a memoria la squadra che De Laurentiis ha costruito con la cessione di Gonzalo Higuain. Cessione che a Napoli è stata vissuta come un dramma, a partire dallo stesso allenatore che ha impiegato un bel po’ di mesi a superare il trauma. Anche perché – aggiungiamo noi – soltanto a Napoli è possibile acquisire consenso con continue allusioni contro la società. Poi a Sarri va riconosciuto il grande merito di aver trovato anche l’antidoto alla partenza di Higuain con Mertens centravanti dopo l’infortunio di Milik.
Il nemico è sempre De Laurentiis
Ma ogni anno la scena si ripete e non cambia mai. Il nemico è sempre De Laurentiis. L’uomo che affossa il Napoli, che non consente al Napoli di trionfare è – guarda caso – il principale artefice del successo del Napoli. Un caso di amnesia collettiva che andrebbe studiata da professionisti del settore.
E veniamo al caso Reina. Che tiene banco a Napoli e di cui non c’è traccia a Parigi né in Francia. Perché tiene banco a Napoli? Perché il cattivo è sempre De Laurentiis. Perché a lui vanno ascritte le responsabilità di sfasciare lo spogliatoio: non ha voluto rinnovare il contratto a un portiere di 35 anni. Scelta giusta? Sbagliata? Se ne può parlare. Di certo scelta legittima. Lo stesso Sarri quest’estate fece un’allusione contro la società: «È un problema che doveva essere risolto prima».
Il padre vecchia maniera
De Laurentiis è sempre il padre vecchia maniera di questa squadra e di quest’ambiente. È sempre colpa sua. Eppure è lui che porta avanti la baracca. È lui che ci ha fatto passare dal pane con le cipolle (peraltro buono) a pranzi luculliani a cinque stelle. È lui che ha portato il Napoli ad affrontare con discreta continuità le grandi d’Europa. Eppure il cattivo è sempre lui.
De Laurentiis e la città pappona – unico sequel possibile de “La città porosa” – ricordano tanto un vecchio film degli anni Settanta: “Finché c’è guerra c’è speranza”, di e con Alberto Sordi. Il protagonista consente alla famiglia di vivere con un tenore di vita altissimo nascondendo facendo il mercante d’armi e non più il commerciante di pompe idrauliche. Finché un giorno non viene denunciato dalla stampa e quindi processato dai suoi stessi familiari. Il film finisce con lui che, subito il processo e ricordato a moglie, figli, suocera con quali soldi esaudissero ogni loro capriccio, delega ai familiari la scelta finale: «Adesso vado a dormire. Se volete che torni a vendere pompe idrauliche, non svegliatemi. Altrimenti venitemi a chiamare alle tre e mezza, perché arriva un carico di settantamila mitragliatrici». Inutile dirvi come andò a finire.