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Uscito Eto’o ho capito che era tutto scritto

E biscotto fu. In una serata dal cielo plumbeo, con la nebbia bassa sui Camaldoli a dare il benvenuto all’Inter, abbiamo avuto il nostro punto e, dopo ventun anni, la Champions. La Storia. Non trovate sia una meraviglia, la Storia? Durante quei lunghi ma velocissimi 45 minuti di palleggio ho pensato di tutto. Quando Leonardo ha mandato Pazzini a scaldarsi non mi sono fidata di lui, ma quando è uscito Eto’o ho capito che era già tutto scritto. Non posso dire di aver vissuto con felicità un secondo tempo in cui applaudivamo i giocatori dell’Inter che ci stavano facendo il piacere. Ero strabiliata, ecco la parola giusta. Pensavo a questa città, martoriata. Alle elezioni. A quante cose potremmo fare se mettessimo la stessa passione che mettiamo nel calcio nel volere una città migliore, semplicemente degna. Pensavo a quanto siamo grandi, a che pubblico stupendo siamo. Ho pensato anche, più di una volta, che era bello, sì, ma che non mi divertivo. Ho pensato che il primo anno di Napolista ed il mio primo anno di abbonamento hanno portato stramaledettamente bene. Che quando vai allo stadio tutte le domeniche è come se un po’ avessi contribuito anche tu perché questi ragazzi non li hai mai mollati, li hai tenuti per mano ed accompagnati lungo tutto il cammino. Ho pensato che un po’ era come se ci stessero elargendo le briciole, ma che però quel palatone di pane cafone caldo e fumante con le lettere CL stampate sopra era la cosa più buona assaggiata da un po’. Ho pensato che siamo uomini (e donne) fatti di carne, ossa, sangue, cuore, pancia, gambe. Che siamo umani e pure loro e che perciò ci sta. Che siamo un pubblico stupendo e che pure gli interisti sono stati contenti di vivere insieme a noi un tripudio di folla così. Che non possono aver visto altrove e in altri tempi qualcosa del genere. Perciò bravi, tutti. Cavani, entrato con entusiasmo lucente e addosso al quale Gargano si è lanciato a cavalcioni. Grava, che ho visto solo in tv, da casa, abbracciare tutti. Cannavaro, che ha pianto come uno scugnizzo. Mazzarri, nonostante lo zero spaccato in comunicazione. Persino Aurelio, nel suo abito da politicante fermo impalato in mezzo al campo, nonostante non sopporti la parola onore e l’aria di comizio in un giorno di elezioni. Ce lo siamo meritato questo terzo posto, al di là del biscotto. Abbiamo avuto un calo fisico ed uno spogliatoio massacrato: che avremmo potuto fare di più? Restano milioni di rammarichi, certo, restano le domande, ma quelle lacrime di commozione ancora non mi sono andate via dagli occhi. Quei sessantamila che, a partita finita, non si sono mossi di un passo me li ricorderò per sempre. Io ero tra quelli, occhi lucidi e felicità bambina, una fogliolina tremante dall’emozione per aver messo i suoi piedi calzanti All Stars in mezzo ad una Storia così. L’anno prossimo giocheremo con quella musica celestiale nelle orecchie, potremo sognare di andare in trasferta nelle più belle città europee, guardare il pallone in tv tre volte a settimana. Adesso sta a Walter ed Aurelio: DeLa che non vuol lasciare andare via Mazzarri e Mazzarri che prova a fare il duro ma che ha ben chiaro che la vera impresa sarebbe prendere questo Napoli per mano e condurlo in Europa: per ora siamo alla porta principale ed abbiamo bussato il campanello, ma entrarci davvero è Storia ancora da scrivere e a lui piacciono le imprese impossibili, speriamo ci pensi. Se lo merita soprattutto questo pubblico, unico al mondo. Quando abbiamo cominciato tutti ad applaudire i nerazzurri, uno, davanti a noi, si è alzato in piedi ed ha urlato “ma sit’ asciut’ pazz’ tutt’ quant?”. Gli sembrava inverosimile ed un po’ aveva pure ragione. Ma è stato troppo bello il torpore alle mani per i troppi applausi per pensare di rovinare questa memorabile festa. Perciò grazie Inter, compreso Leonardo, che alla fine del primo tempo è uscito dal campo assieme a mazzarri e ho immaginato gli dicesse “basta così?”. Con i nerazzurri d’ora in poi non sarà più la stessa cosa: un po’ di riconoscenza glie la riserverò sempre, da ieri in poi. La verità è che se fossimo signori dovremmo andare a Torino e rendere il favore alla Juve, ma la verità è che la Juve per noi non lo farebbe mai e allora la verità diventa che a Torino dobbiamo andare a divorarcela, la Juve, ma che dovremmo tutti tifare per il biscotto a favore dell’Udinese, che ha fatto un girone di ritorno da fare pura invidia e che si merita l’Europa un gradino più in basso di noi. La verità è che sono felice e allora penso “Vaffanculo, penso. Ecco quello che penso. E’ questa la parola che viene spontanea quando capita che ti senti inaspettatamente felice, tutt’a un tratto”. Lo dice Diego De Silva, in Non avevo capito niente. Sta lì sulla mia bacheca di Facebook da più di due anni. Giuro che non l’avevo ancora mai detto così. E Forza Napoli. Sempre.

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