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Le tre righe di verità di De Laurentiis su Napoli ne fanno un vero intellettuale

L’intervista al Corriere. A De Laurentiis non si perdona l’aver operato in città lo scambio tra verità e realtà. Qui, dove negare il principio di realtà è la linfa necessaria a tenere in vita qualunque idea-zombie cittadina.

Le tre righe di verità di De Laurentiis su Napoli ne fanno un vero intellettuale
Aurelio De Laurentiis

Mantenere intatte le rendite di posizione

Il valore delle parole, si sa, dipende dal loro contesto. Nella nostra città, più che in altre, al fine di mantenere tutte le rendite di posizione intatte, i ruoli si mantengono ben distinti e invadere il sacro campo del vicino è considerato quanto meno sconveniente, se non apertamente volgare. “Napoli è una città che ha un grande bisogno di amare. Autolesionista, incapace di vedere la verità. Sottomessa da secoli, sempre alla ricerca di un riscatto legato a qualcosa di impossibile” è una definizione che potrebbe permettersi un elitario salotto buono, un commissario di una delle miriadi di serie televisive o letterarie cittadine, l’artigiano di grido, il fondo dell’intellettuale sul quotidiano – tutti rigorosamente di sangue partenopeo -, ma non certo il presidente di una squadra di calcio. Per giunta non precisamente napoletano.

Tre righe chiare, senza indulgere in proclami, senza tirarsene fuori come spesso fanno i più raffinati dopo aver condannato a destra e a manca, poche parole affidate alla sua migliore intervista, lontana dall’ennesimo noiosissimo pulpito – istituzionale, televisivo, religioso, culturale. Tre righe da intellettuale, si direbbe in altre parti del mondo dove si chiacchiera meno. Siamo sottomessi da sempre, in costante frustrazione amorosa ed incapaci di gestire il peso della verità.

È questo quanto non si perdona a De Laurentiis: l’aver operato in città lo scambio tra verità e realtà – una operazione che nessuna istituzione ha avuto il coraggio di fare negli ultimi decenni. Negare il principio di realtà è, anzi, la linfa necessaria a tenere in vita qualunque idea-zombie cittadina o ciascun ricordo ossessivo, fissando sempre traguardi irraggiungibili che garantiscano il fallimento e alimentino la sacralizzazione leggendaria del passato sempre più patologica e compulsiva.

Il sottovalutato “No grazie, il caffè mi rende nervoso”

In una scena di “No grazie, il caffè mi rende nervoso” – non a caso, tra i capolavori più sottovalutati del cinema partenopeo – Giuffrida, uno schizofrenico Lello Arena, si lancia nel difficile compito di salvare Lisa, la spregiudicata giornalista del nord rapita da Mastino, un bruto malavitoso. Mastino sorprende Giuffrida e gli punta la pistola contro, pronto a sparare. In mancanza d’altro, vedendosi con un piede nell’abisso, Giuffrida gioca la carta dell’illusione, della sostituzione della realtà con la verità, muove il suo assassino al sentimentalismo e gli dice lacrimoso che se gli spara – in verità – uccide il cuore della sua mamma.

 

Anche De Laurentiis ha solo una zia

Mastino si illanguidisce e capitola, Lello Arena ha la meglio e soffia la pistola al bruto, ma questi non farà altro che recitare nuovamente la medesima parte di Giuffrida invocando, anche lui, il cuore della mamma distrutto dal dolore. La pistola passa così di mano in mano, da Giuffrida a Mastino, da Mastino a Giuffrida, prima assassini ed un attimo dopo bambini piangenti che invocano la mamma. È una straordinaria rappresentazione plastica della sospensione della realtà della nostra città. È dove vive Napoli da secoli, sottomessa e in perenne bisogno d’amore. Finché non irrompe Lisa, che nel frattempo si è slegata da sola. Impugna la pistola e la punta a Mastino che prova la stessa strategia chiedendole: “Non ce l’hai una mamma, un padre pure tu che ti aspettano a casa?”, “No – risponderà la giornalista – io c’ho solo una zia e a lei non gliene frega niente”.

Dunque, cosa dà davvero fastidio di De Laurentiis, in modo così omogeneo e trasversale? Beh, soprattutto il suo non avere una mamma o un papà che lo aspettano a casa. Aurelio De Laurentiis ha solo una zia. E, a leggere l’intervista, prova anche un profondo e profano godimento nel mandare il proprio presunto carnefice a quel paese.

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