Quella condotta dalla procura di Cremona (e adesso anche da quella di Napoli) sul calcio-scommesse sarà sicuramente l’inchiesta del secolo, non lo mettiamo in dubbio. Probabilmente uno dopo l’altro i pm riusciranno a ripulire dal marcio il calcio italiano. Eppure, leggendo quel che quotidianamente ci propinano i nostri giornali qualche dubbio sorge. La discrepanza tra quello che c’è negli articoli, il modo in cui le notizie o presunte tali vengono riportate, e la titolazione fa venire i brividi.Dopo il caso De Rossi, sbattuto in prima pagina solo perché uno degli arrestati – il portiere Paoloni – lo citò in una telefonata, oggi i giornali scrivono del coinvolgimento di Roma, Fiorentina, Genoa, Lecce e Cagliari. Cui va aggiunta persino la partita Napoli-Parma dello scorso, con tanto di coinivolgimento della camorra (a onor del vero notizia vecchia, già riportata dal Fatto quotidiano mesi fa).
E quindi eccoci al titolo di Repubblica: «Serie A, ecco le partite truccate: “Sono cinque le squadre coinvolte”». E allora un lettore, con santa pazienza, va a leggersi l’articolo e trova che queste squadre sono state citate venerdì da tal Mario Pirani, che ovviamente non è il giornalista ma il dentista che sarebbe al centro dell’associazione che truccava le gare. Rivelazioni che avrebbe fatto, scrive il quotidiano diretto da Ezio Mauro, “nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip di Cremona Guido Salvini”. E meno male che era di garanzia, aggiungiamo noi.
L’articolo prosegue. “Le tre gare non erano state sfiorate dall’inchiesta di Cremona prima di quell’interrogatorio. Per questo gli investigatori dovranno vagliare e verificare le dichiarazioni: perché la procura possa parlare ufficialmente di partite truccate è necessario avere riscontri esterni”. Ma come? E allora di che cosa stiamo parlando? Non solo, ma – sempre stando a quanto scrive Repubblica – “Pirani ha raccontato delle tre partite sicure giocate dall’associazione premettendo però di non aver avuto una conoscenza diretta di chi, come e per quanto avesse indirizzato le gare”. Insomma, il nulla.
Ovviamente, come scritto, la nostra non è una tesi contro i magistrati. Piuttosto contro il corto circuito procure-giornali. Dove sta scritto che tutte le operazioni di una Procura debbano finire direttamente sui quotidiani, intercettazioni comprese? La risposta è sin troppo banale: un bel titolo su De Rossi in prima pagina cattura l’attenzione e fa vendere un bel po’ di copie in più. Poi che fa se nell’articolo c’è scritto chiaro e tendo che si tratta di una dichiarazione senza riscontro di un indagato e se nella partita contestata (Genoa-Roma 3-4) De Rossi nemmeno ha giocato?
Ancora una volta la gestione mediatica di un’inchiesta giudiziaria lascia perplessi. Col risultato che adesso il ruolo dei moralizzatori viene svolto proprio da chi è ai vertici del calcio e dello sport italiano praticamente da sempre, che sia Gianni Petrucci o Giancarlo Abete. Aspettiamo gli eventi, ma comincia a sorgerci il dubbio che ancora una volta il giornalismo abbia perso una buona occasione per affrancarsi dal ruolo di megafono delle procure.
Massimiliano Gallo (Linkiesta, 6 giugno 2011)