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Ricordatevi questo nome: Blerim Dzemaili

Si sa, io Mazzarri lo amo, e mai come questa volta mi sono studiata i nuovi acquisti voluti da lui nei dettagli. Mi piace guardarli nelle amichevoli, leggere tutto ciò che parla di loro, guardarli in volto e studiarne i lineamenti. Ho amato Inler dal primo istante, nonostante la maschera da leone. L’ho amato perché già me ne ero innamorata in quella partita maledetta al San Paolo e perché in giallo i suoi lineamenti turchi stanno che è una bellezza, poi quando ho letto che non osserva il digiuno musulmano perché vuole vincere e per vincere deve nutrirsi come tutti e anche meglio ho capito che è un genio del pallone, uno di quelli che hanno il guizzo, il tocco, un dono da preservare. E così, ora che sono in vacanza, nel Cilento, ogni giorno esco all’alba per andare a comprare il Corriere dello Sport. Me ne vado al mare, mi stendo sul lettino e bevo le parole dalla prima all’ultima, le sorseggio, proprio, dall’Inter dell’incertezza Gasperini al gossip sulla Pellegrini e quando arrivo alla pagina che parla del Napoli indugio sempre un po’. Mi butto in acqua, mi rinfresco e poi sono pronta per leggere ancora a fondo. Spero sempre nel colpaccio, nell’acquisto dell’attaccante che mi farebbe stare serena, e però quel centrocampo che abbiamo messo su non finisce mai di affascinarmi. Il tocco di pennello di Mazzarri, quest’anno, per me è stato Dzemaili, volere Dzemaili accanto a Inler. Due giocatori che si intendono alla perfezione, compagni di Nazionale e di scudetto quando erano entrambi nello Zurigo.
Blerim è un centrocampista bravo anche in attacco, moderno, con doti da regista, bravo ad interrompere le trame avversarie e ad impostare il gioco per portare la squadra in avanti, freddo, pulito e ordinato nei movimenti. Non disdegna le conclusioni dalla distanza. Si colloca perfettamente negli schemi di Mazzarri, vista la quantità di palloni che Walter fa giocare agli esterni. Venticinque anni, sguardo fiero e dolce allo stesso tempo, occhi che nascondono un mondo che è difficile intravedere in un calciatore. Lineamenti definiti, bocca nettamente delineata in mezzo ad un viso che sembra più quello di uno spagnolo di sangue caldo che di uno con origini macedoni, fossetta appena accennata su un mento piatto da ape operaia laboriosa e tenace. Definisce Napoli una città accattivante, che ti conquista subito e per uno svizzero di origini macedoni non dev’essere così naturale pensarla così. Quando poi aggiunge che si disseta andando a scovare gli angoli più reconditi dei posti in cui mette tenda, allora ti rendi conto che sei di fronte ad un fenomeno, qualcuno che vale la pena conoscere e ospitare nei cori, nelle sensazioni e nel calore di quell’erba che amiamo così tanto. Dice che ama leggere, che divora film e che odia il genere horror. Che in Italia ha imparato a conoscere Carofiglio ed il suo avvocato Guerrieri (qualcuno però dovrebbe presentargli il commissario Ricciardi, di de Giovanni). Che, soprattutto, ama moltissimo Nick Hornby.
E allora mi viene in mente la scena finale di Febbre a 90°. Campionato inglese 1988-89, capolista è l’Arsenal di George Graham. Vittorie su vittorie e un sogno scudetto che porta il protagonista, Paul, a frequenti litigi con la sua compagna, che si accorge di valere un po’ meno, ai suoi occhi, del buon calcio giocato dal bomber Alan Smith. Poi, alla penultima giornata, il Liverpool arriva in testa alla classifica. Il film si chiude proprio con l’ultima partita, che vede contrapposti i Reds ed i londinesi ad Anfield. Paul ed il suo miglior amico decidono di non andare in trasferta e di guardare la partita in tv. Paul si sente già sconfitto, ma l’amico è fiducioso tanto da rasentare la follia. Il primo tempo si chiude 0-0 mentre all’inizio della ripresa l’Arsenal passa in vantaggio, ma per vincere il campionato serve un altro gol. Mancano pochi secondi e all’improvviso Michael Thomas sfrutta un rimpallo favorevole ed insacca il gol del raddoppio e della vittoria. Paul e l’amico si abbracciano sul pavimento mentre la palla entra lentamente in rete. L’Arsenal è campione d’Inghilterra. Una gioia smisurata travolge tutto ciò che li circonda. Quando a Dzemaili hanno chiesto se questo Napoli è da scudetto, lui ha risposto che è una squadra piena di tecnica e di talento, molto più di quanto credeva guardandola dal di fuori e che se ci crediamo tutti insieme potremmo arrivare in alto. Ma, aggiunge, dovremo essere bravi a gestire l’entusiasmo. Servirà umiltà. Cervello ci vuole, carattere, sintonia, stimoli e umiltà. Questo ragazzo ci porterà per mano. Saranno solo sensazioni, ma io mi ci affido. Ha scelto il numero 20. Crediamoci. E Forza Napoli. Sempre.
di Ilaria Puglia

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