La reazione al caso Asia Argento non era poi così imprevedibile. Come dimostrano studi e ricerche condotte sia negli Stati Uniti sia in Italia
Woman’s Inhumanity to Woman
Non c’è bisogno di andare troppo indietro, magari al film Eva contro Eva, di Joseph L. Mankiewicz, interpretato da una splendida Bette Davis, per scoprire tracce della rivalità tra donne e dell’odio di cui sono capaci le donne nei confronti delle esponenti dello stesso loro sesso.
Qualcosa di simile a quanto è venuto fuori dalla querelle Argento-Weinstein che abbiamo raccontato sul Napolista così come ripresa dai giornali esteri: il fallimento del femminismo, per dirla alla Guia Soncini.
Ce ne sono stati tanti, di film sull’argomento. E anche di libri. Uno dei più significativi che ci viene da citare è quello pubblicato nel 2001 dalla femminista Phyllis Chesler, Woman’s Inhumanity to Woman: il sottotitolo italiano era già eloquente: “Rivalità, invidia e cattiverie nel mondo femminile”.
La Chesler scriveva:
“Prima che iniziassi a fare delle ricerche per questo libro non ero consapevole del fatto che le donne potessero essere aggressive in modo indiretto, che spettegolassero e si emarginassero a vicenda senza sosta, e non ammettevo la loro invidia ed il loro senso di competizione. Ora capisco che, per sopravvivere come una donna, tra le donne, bisogna parlare con cura, con cautela, in modo neutrale, indirettamente; bisogna prestare molta attenzione a quello che le donne socialmente più potenti hanno da dire, prima di parlare; bisogna imparare ad adulare, manipolare, essere d’accordo, accontentare”.
Nella misura in cui le donne sono state e sono oggetto di oppressione, continua la scrittrice, “abbiamo anche interiorizzato l’ideologia misogina dominante e la sosteniamo sia ai fini della nostra stessa sopravvivenza, sia per migliorare la nostra posizione individuale nei confronti di altre donne”.
La mancata violenza non rende più roseo il quadro
Neppure il mancato uso della violenza da parte delle donne contribuisce a rendere più roseo il quadro: “Che le ragazze evitino l’uso della violenza fisica nella risoluzione dei conflitti, non significa che questi conflitti vengano risolti in modo significativo e duraturo. Le ragazze potrebbero sorridere, cedere, rinunciare – e poi continuare il conflitto alle spalle dei loro avversari. Le ragazze potrebbero anche sorridere, cedere, scendere a compromessi funesti, perché il loro bisogno di appartenenza (o di non sentirsi esclusa) è per loro più importante che rispettare i propri principi”. Un quadro funereo.
La ricerca Pubblicata dal New York Times
Veniamo ad alcuni dati statistici. Proprio sul New York Times, il giornale che ha ospitato l’articolo della Soncini, nel 2009 fu pubblicata la ricerca del Workplace Bullying Institute secondo la quale, su un campione di 1000 persone, il 20% si sentiva vittima di mobbing, il 7% sosteneva di essere continuamente oggetto di derisione e il 21% era stato testimone di azioni di questo tipo. Andando ad analizzare il genere dei provocatori, sorprende scoprire che il 40% dei responsabili di mobbing fossero donne e, soprattutto, che le donne mobbizzassero, nel 70% dei casi, altre donne. Praticamente Eva contro Eva.
L’ultima indagine Istat risale al 2009
Allo stesso anno 2009 risale l’ultima indagine Istat in ordine di tempo sul disagio nelle relazioni lavorative: su 29milioni 128mila lavoratori che nel corso della loro vita lavorativa avevano avuto superiori, colleghi o persone a loro sottoposte, il 9% (2 milioni 633mila) dichiarava di aver sofferto, nel corso della vita, vessazioni, demansionamento o privazione dei compiti; il 6,7 aveva sperimentato una tale situazione negli ultimi tre anni e il 4,3% negli ultimi 12 mesi.
A subire di più risultava fossero le donne (9,9% nel corso della vita). 7 milioni 948mila lavoratori, invece, avevano vissuto situazioni di disagio caratterizzate da frequenza e durata contenuta, ovvero una o più volte al mese ma per meno di sei mesi.
Anche in questo caso, era molto interessante l’analisi del genere degli autori delle vessazioni. Dalla ricerca si evidenziava che si trattava generalmente di maschi, soprattutto nel caso dei superiori (73%) e dei sottoposti (65,1%). Tra i colleghi, invece, le differenze erano meno marcate: nel 52,6% di casi si trattava di soli maschi, nel 37,7% di sole colleghe donne e nel 9,7% la vittima era perseguitata sia da uomini che da donne.
Tra i superiori, le donne erano autrici in misura maggiore di attacchi alla comunicazione, alla relazione e all’immagine sociale. Nelle vessazioni tra colleghi le donne attaccavano di più sul piano della comunicazione e della relazione, meno sul piano dell’immagine sociale. Tra i superiori, gli uomini tendevano prioritariamente a perseguitare o a privare di compiti altri uomini; analogamente, le donne esercitavano questi comportamenti più spesso nei confronti di altre donne.
Lo studio di Sylos Labini
Ancora qualche dato, più recente. Ad aprile scorso, su The American Economic Review è stato pubblicato uno studio condotto da Mauro Sylos Labini, del dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, insieme a Manuel Bagues e Natalia Zinovyeva, dell’Università Aalto di Helsinki: in base ad esso, la presenza femminile nelle commissioni giudicatrici ai concorsi universitari sembrerebbe penalizzare proprio le donne.
I ricercatori hanno utilizzato, per dimostrarlo, i dati relativi a tre concorsi per l’abilitazione scientifica nazionale che si sono svolti in Italia nel 2012 e in Spagna nel 2002 e nel 2006: 100mila domande presentate in tutto e 8mila commissari coinvolti per decidere chi poteva diventare professore associato e ordinario. È emerso che in Italia le donne hanno una probabilità leggermente inferiore di essere promosse rispetto agli uomini di circa 1.5 punti percentuali, ma che se la commissione è composta anche da donne, la probabilità di promozione delle candidate si riduce: un commissario donna in più diminuisce di circa 1.8 punti percentuali la probabilità delle candidate di ottenere l’abilitazione rispetto ai colleghi maschi. Secondo i ricercatori il motivo è da attribuirsi ad un diverso metro di giudizio adottato da tutta la commissione quando include commissari di entrambi i sessi. Mentalità femminile dominante, in pratica.
Le briciole
Sembrerebbe, a leggere questi piccoli frammenti, che le donne davvero non riescano a fare altro che guardare con sospetto – quando non con disprezzo – le altre donne, che remare contro, denigrarle, cercare di primeggiare per far ‘morire’ le altre. È pur sempre una guerra tra povere, ci sembra. Vale a dire: a noi donne sono destinate, in una società come quella in cui viviamo, solo le briciole? Bene, allora ce ne dobbiamo accaparrare la maggior quantità possibile, altrimenti moriremo di fame. Meglio che muoiano le altre, e pazienza che si tratti di nostre sorelle. Basta fare un giro su Facebook o su qualsiasi altro social per scoprirlo. Se sei donna, tanto tanto piacente, capace, in evidenza per qualsiasi motivo, non devi difenderti solo dagli uomini, ma anche dalle racimolatrici di briciole: le altre donne.