L’intervista di Xavi pubblicata su Repubblica: «La differenza tra il Barcellona e qualsiasi altro club sta nella nostra scuola. Messi non fa preziosismi».
L’intervista su Repubblica
Il mondo di Xavi Hernandez su un quotidiano italiano. È una bella notizia per la nostra editoria, le sue parole sono una specie di manifesto della sua era calcistica. Che poi è anche la nostra, quella che stiamo vivendo. Si tratta di un’intervista particolare, tutta dedicata al gioco, all’eredità del guardiolismo, ai principi da applicare sul campo e in allenamento. Difficile scegliere le parti più significative. Ci abbiamo provato.
Xavi, innanzitutto, difende il suo status quo. Parla di tecnica, individua i fondamentali di controllo del pallone come zona da esplorare. Anche perché «siamo migliorati così tanto a livello fisico che oggi è molto difficile dribblare i difensori. Ci alleniamo con un chip sul torace, calcoliamo le distanze, i chilometri percorsi, la velocità massima… È impossibile essere più preparati. Quindi il calcio ha sfruttato il fisico e le tattiche. Ora ciò che resta da sfruttare a fondo è la tecnica. Quando il fisico vincerà sulla tecnica, il gioco diventerà noioso. Nel calcio ai massimi livelli ci sono più emuli di Simeone che di Guardiola. Lo vedi in Premier: quante squadre giocano come Guardiola? Tre? Quattro? E quante come Simeone? Il 70%. Nella Liga è lo stesso. La loro scusa è: “Non posso competere con il City o il Barcellona”. Ma lo fanno anche contro il Leganés!».
Guardiola
Il giornalista chiede a Xavi se il guardiolismo abbia accentuato questa situazione tattica, invitando i tecnici a dare una risposta a un certo tipo di gioco. Il pensiero dell’ex capitano del Barça: «È vero. Guardiola si concentrava su tutti i dettagli. Io non avevo mai lavorato su una rimessa laterale difensiva. Lui ti chiedeva anche questo: quando facevano una rimessa laterale contro di noi, eravamo tutti piazzati. A volte l’avversario diceva: “Cavolo, ma che succede? Non trovo lo spazio per fare la rimessa!”. Guardiola aveva. Tutti hanno voluto un po’ copiare il suo stile, come Löw che ci ha osservato ed è arrivato dove è arrivato. Alcuni hanno copiato, e altri si sono orientati verso l’antitesi, che è Simeone».
Come si allena il Barcellona: «Intendiamo intendiamo il calcio come spazio-tempo. Chi lo controlla? Busquets, Messi, Iniesta: sono maestri dello spazio-tempo. Sanno sempre cosa fare, se sono soli o circondati. Questa cosa, centrocampisti come Casemiro non la capiscono. Ma, a sua volta, Busquets non potrebbe mai fare le coperture che fa Casemiro quando rimane solo al centro a coprire. Busquets non lo può fare perché anch’io sono più veloce di lui. Casemiro è rapidissimo. Ma tutto il resto gli viene difficile perché non ci ha lavorato: ha altre caratteristiche, è più difensivo, ruba più palle, arriva, copre più campo. Ma non domina lo spazio-tempo. Se lo avessero stimolato a 12, 13, 15 anni, lo farebbe. Perché Kroos ne è capace? Perché in Germania glielo hanno insegnato. E perché Thiago Alcántara lo sa fare? Perché è stato
alla scuola del Barça. Poi ci sono i talenti innati, come Cazorla».
Capire le cose
Probabilmente, la frase chiave dell’intervista di Xavi è questa: «Più che di cambi di posizione dobbiamo parlare di intesa. Non dobbiamo insegnare al giocatore a cambiare posizione, ma a capire le cose».
Lo sviluppo di questo concetto: «Il qatarino non capisce perché. Se io porto palla, lui viene verso di me: “Che fai? Così ci scontriamo!”. Viene a un metro e dico: “Non vedi che se Maradona e Pelè giocassero nella stessa squadra a un metro di distanza, io diventerei il miglior difensore del mondo?”. Metti Maradona e Pelè a 15 metri di distanza. Che fai? Dove vai? Possono passarsi la palla senza sbagliare per tre giorni di seguito. Cruyff parlava della fisarmonica: di aprire il campo, di capire dov’è lo spazio libero. Se qui c’è Iniesta, io non posso più stare nello stesso posto. Se è sotto pressione, gli do una via d’uscita. Il vantaggio del Barça rispetto alle altre squadre è che ci ha lavorato per molti anni».
Messi
A un certo punto, Xavi sdogana l’immagine di Messi. Lo considera il più grande di sempre perché «tatticamente capisce tutto. Domina tutto. Lo spazio, il tempo, dov’è il compagno di squadra e l’avversario. Prima squilibrava soltanto per la sua abilità e la sua forza. Adesso ti dribbla per divertimento: ti attira. L’ho visto fare a LeBron James, nella finale Cavaliers-Miami del 2014: quando ne aveva due su di lui, passava la palla e il compagno
era libero di fare un tiro da tre».
Il giudizio di Xavi su Isco e Asensio è un tracciante alla nuova generazione: «Devono sapere quello che mi diceva Aragonés: “A lei, cosa piace? Il bel calcio o il buon calcio?”. Io non capivo: “Che significa?”. “Lei mi dia del buon calcio. Anche quello bello, sì, ma per imbrogliare quattro ingenui”. Non voglio fare nomi, ma nella Liga ci siamo fatti impressionare da giocatori che sono scomparsi senza lasciare traccia. Sì, bei preziosismi, ma a cosa servono? Quali preziosismi fa Messi? Messi non fa preziosismi. Va al sodo. Messi è il calcio buono, tanto buono che diventa bello».