Il Napoli è una solida realtà del calcio italiano. Ora sta al Palazzo scegliere: continuare a dipingerci come dei guitti, come in prima oggi sulla Gazzetta, oppure sedersi al tavolo con lui?
Attacco frontale
Quel che conta è la percezione. E la percezione delle parole rilasciate da De Laurentiis alla Gazzetta dello Sport (e a Repubblica, ma è l’intervista alla Gazzetta che ha fatto più rumore) è quella di un attacco frontale al potere della Juventus. È difficile scomporre in percentuali la torta delle componenti che sono alla base delle esternazioni di De Laurentiis: quanto sia opportunismo, quanto astuzia per ingraziarsi i tifosi, quanto intelligenza per sfruttare il momento mediatico e quanto battaglia politica vera e propria.
L’intervista di De Laurentiis è densa di allusioni. Allude ai rapporti tra la Juventus e il Sassuolo e lo suffraga con il comportamento del dirigente Carnevali che ha addotto problemi di linea per la mancanza di chiusura del contratto di Politano. Giocatore che – come ha spiegato lo stesso presidente del Napoli – il Napoli ha cercato più per motivi psicologici che tecnici: «Non volevo dare alibi a nessuno. A un certo punto mi sono detto: buttiamo questi soldi dalla finestra».
Dettare l’agenda
Allude anche a una trama internazionale che sarebbe alla base del ritorno a casa di Younes, a una triangolazione Juventus-Bayern Monaco-Eca. Non lo dice mai, però strizza l’occhio, si fa imboccare, detta la linea. Seduce i giornalisti e pone una condizione: le frasi le dite voi, io ammicco solo. Dal punto di vista comunicativo, non fa una piega. Detta l’agenda. Finalmente, aggiungiamo. Ed è bravo a non ricordare che nell’Eca c’è anche il Napoli, che anche lui ha un incarico ufficiale, incarico che gli è stato assegnato proprio dal neopresidente Andrea Agnelli.
Quel che conta è la percezione. E il messaggio è passato. De Laurentiis prosegue, dichiara che a decidere lo scudetto saranno gli infortuni e soprattutto gli arbitri e il Var. Il tutto condito dal passaggio sugli Agnelli che sono da cento anni la famiglia più potente d’Italia, che hanno ottenuto lo stadio a prezzo di favore e che a lui questi favori non vengono concessi mai.
Vent’anni dopo Sensi
Insomma, De Laurentiis va alla guerra. Forse per la prima volta lo fa alla Franco Sensi l’unico che provò a creare un contropotere in Italia, allora contro Galliani. Perché il Milan all’epoca contava più della Juventus. Ma Franco Sensi, pur di vincere, si fece sommergere dai debiti e quello scudetto – che gli consegnò l’immortalità agli occhi dei tifosi che invece un tempo cantavano “Franco Sensi bla bla bla” – si rivelò invece la sua condanna dal punto di vista economico-finanziario.
De Laurentiis, invece, va in battaglia con un’azienda solida. E lo rivendica. «La Juventus è piena di debiti, il Napoli è un’azienda sana».
Un’impronta
De Laurentiis ha un punto di vantaggio in classifica sulla Juventus senza essersi svenato per Batistuta e Samuel. Con un progetto che parte da lontano, che ha puntellato anno dopo anno. Ha investito sulla permanenza dei suoi – congrui aumenti di ingaggio a Mertens e Insigne, soprattutto – invece che in spese folli per una squadra che da anni è al vertice del calcio italiano e che ha cominciato a lasciare un’impronta anche in Europa: dalla semifinale di Europa League, alle prestazioni offerte in Champions contro Real Madrid e Manchester City, alla permanenza ormai costante tra le prime venti del ranking.
In questo, De Laurentiis è molto diverso da Franco Sensi. Va alla guerra ma senza snaturarsi. In nove anni, De Laurentiis ha avuto appena tre allenatori. Da Mazzarri a Benitez a Sarri. Un percorso che ha sempre consentito salti di qualità. Un passo alla volta. Sempre tenendo conto del bilancio. E dal punto di vista politico con un percorso mai ideologico, possiamo anche dire opportunistico. Non sappiamo se queste interviste segnino l’inizio di un nuovo periodo di De Laurentiis, potremmo definirlo “periodo politico”. Però è certamente il passo di chi si sente più sicuro della propria forza, di chi – dopo dieci anni – non può più essere considerato un parvenù del calcio italiano.
Napoli come un mondo a parte
Occhieggia al suo popolo, questo è certo, (quando parla di arbitri e Var, e dice «’cca niusciuno è fesso»), ma parla anche e soprattutto al calcio italiano. Calcio italiano che si ostina a dipingere Napoli perennemente come una sorta di mondo a parte, dove vigono altre regole, quasi sempre all’insegna del macchiettismo. Del resto anche oggi la Gazzetta in prima pagina pubblica un De Laurentiis quasi in versione clown col megafono in mano, come se fosse uno qualunque la domenica mattina allo speaker’s corner di Hyde Park. Quella sola immagine depotenzia il contenuto dell’intervista di De Laurentiis. Ed è un chiaro messaggio giornalistico.
La prima pagina della Gazzetta
Sarebbe ora che il Palazzo, i media, cominciassero a fare i conti con il Napoli che è una solida realtà del calcio italiano. Anche questo ha voluto dire oggi De Laurentiis: “mi hanno fatto un favore, ho risparmiato 29 milioni”. Ha voluto dire: continuate con i vostri rapporti di potere, intanto avete perso trenta milioni”. Il cash, i soldi, ce li ha De Laurentiis. Va alla guerra, ma non come Franco Sensi. Prova a vincere, ma senza pagare con la vita (della società) quel tricolore tanto agognato dai tifosi.
L’arma più potente
Quella solidità economico-finanziaria – tanto disprezzata da tanti tifosi a Napoli – è l’arma più potente di De Laurentiis. L’universo del calcio italiano si ostina, per fare un esempio, a concedere servizi e paginate alle milanesi, a descrivere un bel mondo che nei fatti non esiste più. Il rigore aziendale oggi abita a Castel Volturno. Sì, proprio alle spalle del vialone con prostitute e immigrati sfruttati, a pochi passi dall’abusivismo edilizio dove tanti anni fa Matteo Garrone ambientò lo splendido “L’imbalsamatore”.
Sono le contraddizioni che da sempre contraddistinguono Napoli. Non a caso il Napoli è passato da un allenatore dal profilo internazionale a uno che non aveva mai allenato una partita in Europa. Eppure entrambi sono stati determinanti nella crescita di questa società.
Cencelli dove sei?
Società che oggi rappresenta una splendida eccezione nel panorama italiano. Sarebbe ora che il calcio italiano lo comprendesse. Napoli ha una sua forza. E ha una sua forza nella diversità. Con un allenatore che va in campo con un mozzicone di sigaretta in bocca, ed è un genio della tattica nonché l’inventore del tiqui taca vertical; e un presidente dall’eloquio non proprio di Cambridge, fumantino, che spesso va per la tangente, che però ha dimostrato di essere un robusto imprenditore. E che ha il cash sul tavolo. De Laurentiis, a modo suo, ha bussato al calcio italiano. “Io nun moro”, per dirla alla Aldo Fabrizi. Anzi.
Ora il calcio italiano può reagire in due modi: o continuando a dipingerlo come un guitto col megafono in mano; oppure si può sedere al tavolo con lui e lavorare sulle percentuali. Massimiliano Cencelli, dove sei?