Così come il Natale di Eduardo, quest’anno Inter-Napoli si è presentata come comanda Iddio. Entrambe le squadre vengono da esaltanti vittorie in CL, i rispettivi allenatori sono tra i più bravi a motivare gli atleti a disposizione e le squadre sono accomunate pure dalla probabile indisponibilità dei loro goleador. La sfida con i nerazzurri a S.Siro si sono per noi sempre rivelate amare. Tranne che in un’occasione, nel lontano 1994, in cui il Napoli riuscì a prevalere. Era il Napoli che annoverava tra le sue fila un giovane di belle speranze che poi avrebbe alzato la coppa del mondo in quel di Berlino. L’allenatore era Boskov, che quello stesso anno disse no ad un altro giovanotto del Parma, tal Pippo Inzaghi, perché “noi avere già Imbriani”. Frase passata alla storia, al pari di “è rigore quando arbitro fischia”. Eppure di quella vittoria, stranamente, non ho un ricordo netto. E’ come se l’avessi resettata dalla mente. Sarà perché fu ottenuta da una squadra che poi non ha lasciato traccia di se, anche se in porta c’era un certo Taglialatela, che in quella occasione parò anche un rigore. Mi sono invece rimaste impresse ed indelebili altre immagini relative ad altre Inter-Napoli. A cominciare da Sivori, che uscì dal campo mimando il gesto del furto toccandosi il petto, dove va cucito lo scudetto. Ricordo un assurdo rigore (altro che Rocchi, proprio lui, e sempre a S.Siro, ma col Milan), concesso da Gonella per un fallo che al massimo poteva essere considerato di ostruzione, di Panzanato su Mazzola. Piccolo particolare, alcuni giocatori dell’Inter (che era rimasta in 10 per l’espulsione di Burgnic), nell’intervallo si erano intrattenuti in amichevoli conversazioni nello spogliatoio dell’arbitro. Ricordo un altro gol nella nebbia, che noi spettatori della gradinata opposta intuimmo soltanto perché vedemmo i loro giocatori rientrare esultanti nella loro metà campo. Neanche con Lui in campo ci andò meglio. Al massimo un pareggio. Dopo una rete strepitosa di Diego, Zenga rilasciò un’intervista in cui diceva: “ha stoppato la palla di petto e, prima che toccasse terra, e senza mai guardare il pallone, mi ha prima fissato negli occhi e poi, con una finta, mi ha infilato dove non sarei mai potuto arrivare”. Ma quel gol non bastò a vincere, come non bastò la rete di Careca da fuori area per battere l’Inter dei record del Trap, che dopo essere passata in svantaggio, ci travolse sotto una caterva di gol. Dell’era De Laurentis ricordo un’eccezionale rete del Pocho dopo una scambio nell’area di porta che comunque non ci evitò la sconfitta. Come non ci evitò la sconfitta la rete di testa di Pazienza, e dopo che Maggio si era divorato il vantaggio sul risultato di 1 a 1. Sabato ci presenteremo a Milano privi del nostro profeta e con un Lavezzi ancora non del tutto ripresosi dall’infortunio al tallone. Sembra un’impresa impossibile. Il presidente si aggrappa allo spirito di rivalsa di Pandev, che stranamente appare ancora fuori condizione. Io invece fido in Lavezzi. Questa può essere la sua partita e l’occasione per mettere a tacere tutti quelli che dicono che non è un top-player. Per me lo è sempre stato, fin da quando P.P.Marino lo scovò in Argentina, e dopo che nessuno si era accorto delle sue qualità dopo un breve passaggio per Genova. Probabilmente è il giocatore che più ho mandato affanculo, dopo tante reti fallite, ma indubbiamente è il giocatore che più ho amato degli ultimi anni. E’ l’unico da cui ti aspetti sempre qualcosa, la mossa vincente, la “sola” o la “malatia”. Quando semina gli avversari sembra attraversato da una scarica elettrica. Sarà per il suo passato di elettricista. Come il Parker che diventa Spiderman dopo essere stato morso da un ragno, lui deve avere subito una scossa ad alta tensione che gli ha modificato il dna. Quando parte è imprendibile, a volte gli avversari non riescono a fermarlo neanche falciandolo. Quante volte, dopo un fallo, si è rialzato come una trottola Ed ha ripreso a correre. Mi ricorda una lucertola. Da bambini ( un po’ coglioni, oltre che crudeli) non avendo molti giocattoli con cui trastullarci, quando non giocavamo a pallone, ci divertivamo ad acchiappare nei prati appunto le lucertole, ed i poveri animaletti, per sfuggire, a volte ti lasciavano tra le mani la coda, che continuava a muoversi, anche se staccata dal resto del corpo. Diceria comune era che agitandosi, la coda, “ ci bestemmiasse i morti”. “E tuoi, e tuoi…” rispondevamo noi, sempre più coglioni. Ecco, il Pocho non si deve fermare, se vuole convincere gli scettici, deve fare come la lucertola, non si deve mai fermare, deve continuare a correre, pervaso da scariche elettriche che defibrilleranno nostri cuori attraverso l’etere. I gol verranno, a cominciare dall’Inter. “E tuoi, e tuoi…” diventeranno “E’ nostro, è nostro…”. Anzi,” è mio, è mio…” perché lui è Pochomio.
Un caro saluto a tutti da PASQUALE DI FENZO