Cassano Antonio, di Barivecchia. Un predestinato. Perché uno che nasce il 12 luglio del 1982, il giorno dopo della coppa alzata al cielo da Dino Zoff e Enzo Bearzot, solo un predestinato può essere. In un remake calcistico di C’era una volta in America, Cassano sarebbe senza dubbio Noodles. Quello che all’amico carrierista e pronto a lasciarsi corrompere che lo accusa di portarsi per sempre dietro la puzza della strada, risponde così: «Mi piace la puzza della strada, mi apre i polmoni, e mi tira anche di più».
Ecco, Cassano di Barivecchia sarebbe un perfetto Noodles. Lui la puzza della strada se l’è sempre portata dietro. Con un’infanzia difficile e un padre che non c’è mai stato. Senza il calcio, per sua stessa ammissione, sarebbe finito male, probabilmente a fare il delinquente. Ma il destino gli ha regalato il talento ma l’ha cucito addosso a un carattere indomabile e la lingua mai al suo posto.
Il burbero Eugenio Fascetti, ai tempi testa gloriosa come Fantantonio, lo prese sotto la sua ala protettiva. Sapeva, il tecnico toscano, che solo col talento non vai da nessuna parte. Lui che alla Juve faceva il secondo di un certo Omar Sivori. Fascetti lo mandò in campo un sabato sera contro l’Inter di Marcello Lippi. A due minuti dalla fine si era sull’1-1. Antonio ricevette palla dalla difesa, era sulla fascia sinistra, se la portò avanti col tacco, puntò la porta, si infilò tra Blanc e Panucci e la mise dentro. Era il 18 dicembre del 1999. Nacque una stella. Che però non hai mai brillato come avrebbe potuto.
Chi nasce tondo non può morire quadrato. E per lui questo detto è sempre stata una condanna. Arrivò a Roma e creò il primo scompiglio sfottendo in allenamento Pluto Aldair, un’istituzione a Trigoria. Gli fece tunnel e poi lo schernì: “Hai sempre le cosce aperte, come tua madre”. Non furono risate negli spogliatoi. Per lui hanno coniato un termine, le cassanate. Ci ha sempre riso su, ma non è mai riuscito a cambiarsi vestito. Forse non ne ha mai nemmeno avuto l’intenzione. A Roma ricordano duetti memorabili con Totti, ma anche bandierine spezzate a calci nell’esultanza di un 4-0 alla Juventus di Lippi, ancora lui.
Questo è sempre stato Cassano. Prendere o lasciare. Tanti allenatori hanno lasciato. Trapattoni prese. Lo fece giocare nella sua Nazionale nell’Europeo del 2004, quello dello sputo di Totti. E lo scugnizzo barese segnò due gol e quasi gli regalò la qualificazione. Poi, però, un’altalena che non si è mai fermata. Ebbe l’occasione della vita, a Madrid, nel mitico Real. Dove si distinse solo per i chili in più e un’imitazione per deridere Capello, l’allenatore che lo volle nelle merengues. Ormai finiva sui giornali solo per vicende extra-calcistiche. Nottate, liti, esclusioni dalla rosa.
Di più non ha mai voluto, forse. Come Noodles. Gli è sempre sembrato di aver avuto già tantissimo. Del resto chi gliel’avrebbe dovuto mai dire a quel ragazzino senza papà e senza soldi che un giorno sarebbe diventato ricco e famoso. Ai camerieri ha sempre lasciato mance di cento euro, perchè lui la miseria ha sempre saputo cos’è. Così come ha sempre saputo che senza allenamento non sarebbe mai diventato un numero uno. E l’ha presa ridendo. Ha scelto di vivere così. Di non sposare una starlette, ma una sconosciuta ragazza di Genova che gioca a pallanuoto. Di vivere a modo suo. Di non rinunciare a quel ragazzino di Barivecchia.
Adesso, a nemmeno trent’anni, è in un letto d’ospedale. Ictus. Anche se il Milan ancora non conferma. Sì, lo sappiamo, ci sono tanti giovani della sua età che stanno male e muoiono. Così come sappiamo che è strano che due giocatori di una stessa squadra, lui e Gattuso, abbiano problemi neurologici. Ma ora ci è venuto solo di fare un omaggio a Fantantonio. La sua vicenda ci colpisce. Come ci ha sempre colpito quel suo modo di affrontare il successo e lo star system. Portando scritto in fronte: sono di Barivecchia, e allora? Vieni a prenderla, la palla, se sei capace.
Massimiliano Gallo (tratto da www.linkiesta.it)