Risposta alla spatafiata sul Foglio: de Magistris va a traino, non è forza motrice. E De Laurentiis combatte quel plebeismo, perciò è odiato. Ma tutto questo Minopoli non lo sa
La spatafiata
Il Foglio oggi ci regala una spatafiata (in gergo giornalistico pisciatone) di Umberto Minopoli che lancia uno straziante grido di dolore: lui, napoletano e juventino, si sente assediato dal plebeismo aizzato dal sindaco de Magistris e si domanda se potrà ancora liberamente professare la sua fede bianconera nella sua città.
Come spesso accade ai rappresentanti dell’intellighenzia che “si abbassano” a parlare di pallone, Minopoli taglia con l’accetta, attraversa mezzo secolo di storia italiana come fosse un marciapiede. Sembra una persona che si è addormentata a un reading di La Capria su qualche terrazza napoletana, nel bel 1975 che fu, e si è risvegliato con la tv che manda in loop il comizio in cui de Magistris disse a Renzi “cacati sotto” con la telecamera che indugia su vari gabinetti con dentro la foto di Gonzalo Higuain.
Molto probabilmente, come spesso accade in questi casi, Minopoli l’altra mattina sarà rimasto ferito da una battuta un po’ troppo abrasiva e ha pensato: “ora gliene scrivo quattro, non se ne può più”.
Intendiamoci, Minopoli non scrive soltanto cose fuori dal mondo. Ma le contestualizza come fa piacere a lui. Ricorda quando, nel 1974 appunto, poteva sbandierare orgoglioso la prima pagine del Corriere della Sera all’indomani di Juventus-Napoli 2-6 e tutt’al più una spinta bonaria gli procurava uno strappo alla giacca amorevolmente acquistatagli da mammà. Oggi, invece, tutto questo non è possibile. E perché mai? A causa del populismo pallonaro di de Magistris. Attribuisce al sindaco ribelle l’accusa di trattare i napoletani come i minorati, senza accorgersi di fare lo stesso.
De Magistris va a traino, non è forza motrice
Ma davvero Minopoli crede che i napoletani pendano dalle labbra di de Magistris? O forse il sindaco ha trovato il modo per cercare di cavalcare populisticamente un terreno che – come è evidente persino a un bambino – è sempre più fertile in città? Minopoli inverte causa ed effetto, e speriamo che lo faccia soltanto per lo sfizio di sfogarsi. Possiamo fornirgli qualche attenuante: quando cadde in catalessi, nel 1975, i tre quarti dei votanti optavano per la Dc o per il suo Pci e la tv a colori veniva considerata un nemico del proletariato. Oggi, nel 2018, quei due partiti non esistono più, il contenitore che in teoria li ha riunificati si aggira attorno al 20% (quando va bene). I simboli più votati sono legati a movimenti più o meno etichettabili come anti-sistema. Queste cose Minopoli dovrebbe saperle.
Lui si è addormentato, ma il tempo è passato. Se dovessimo vagheggiare il bel tempo che fu, potremmo anche chiederci se avremmo mai visto Scirea da capitano della Juventus andare in tv a dire che l’arbitro ha una pattumiera al posto del cuore; oppure l’Avvocato attaccare il capo degli arbitri dopo un’eliminazione in Europa. Così, tanto per fare qualche esempio.
It’s economy, stupid
Poi Napoli ha la sua specificità. Ma – come insegnavano i comunisti – non è mai solo folklore. È quasi sempre economia, stupid aggiunse quel tale. Ci sono flussi migratori che da vent’anni sono sempre più intensi e c’è un’altra economia che sta rinascendo nella Napoli che è rimasta. Vent’anni fa veniva inaugurato in pompa magna il nuovo largo Barracche ai Quartieri Spagnoli. Venne presentato come un fiore nel deserto. Oggi quel largo la domenica ospita i tavoli di una delle più riuscite operazioni commerciali all’insegna della napoletanità teatrale: il ristorante Nennella che ha tanta di quella clientela da aver aperto anche succursali a pochi metri.
De Laurentiis combatte il plebeismo
E poi sì, non è solo crollato il comunismo o scomparsa la Dc. È cambiata anche Napoli. È diventata “faziosa, intollerante, identitaria” come scrive Minopoli che giustifichiamo per la narcolessia. Che mischia mele con le pere, che affianca il populismo di de Magistris – ripetiamo, a traino non forza motrice – allo stile cinepanettaro di De Laurentiis, senza sapere che il presidente è odiato da quella Napoli proprio perché ne marca ogni giorno la distanza, perché è riuscito nella titanica impresa di creare un’azienda con i bilanci in regola, che non vuole immolarsi sull’altare della piazza e che da quindici anni opera in questo territorio senza essere nemmeno per sbaglio accostato a qualsivoglia indagine giudiziaria.
Insomma, Minopoli ha sparato nel mucchio. E ha riempito quattro colonne di giornale. Si è sfogato. E lo perdoniamo per aver completamente stravolto il senso del termine napolista che lui associa alla Napoli plebea. Sarebbe bastato chiedere a uno dei suoi tanti amici (anche romanisti) che gravitano nell’orbita di questo giornale. Ma in quel contesto, va bene così.