Viaggio a puntate del Napolista nell’universo delle parole in libertà: i progetti annunciati in pompa magna e mai realizzati. Prima puntata: dal 1996 al 2007
Al via un viaggio in tre puntate del Napoli nell’universo delle promesse relativo al futuro stadio del Napoli. Un viaggio che comincia nel 1996.
È una delle notizie alle quali, oramai, ci siamo affezionati. Come la carta d’identità elettronica o, per restare in tema di grandi opere, come il ponte sullo Stretto di Messina.
Abbattere e ricostruire, l’idea di Ferlaino (1996)
Il primo a lanciare l’idea fu addirittura Corrado Ferlaino, nel 1996. A Torino si pensava di abbattere il Delle Alpi per costruire quello che oggi è l’Allianz Stadium e l’ingegnere aveva le idee chiare. Parlando del San Paolo, rinnovato appena 6 anni prima in occasione dei mondiali, diceva: “è pieno di disservizi, costa troppo e non offre niente in cambio. Oggi, con la tv che domina il mondo del calcio, basterebbe uno stadio da cinquantamila posti. Dipendesse da me, demolirei il San Paolo, che è ormai un glorioso monumento allo spreco”.
In questa frasetta c’erano già tutte le questioni che ci accompagnano da allora. Demolire o ricostruire? Uno stadio solo per il calcio o una struttura multiservizi? Che capienza dovrebbe avere?
Quello che Ferlaino non si spingeva ad ipotizzare era la location del nuovo impianto. In compenso in molti altri lo hanno fatto dopo di lui.
Il primo embrione di progetto: il San Paolo Entertainment (2000)
La prima a sbilanciarsi, invece, fu l’allora assessore comunale Giulia Parente. Era l’8 giugno 2000. Il Napoli tornava in serie A dopo due stagioni (ma il peggio doveva ancora venire), al governo c’era l’Ulivo e Veltroni si occupava, tra l’altro, anche di Sport. Parente immaginava “uno stadio aperto alle famiglie, giorno e notte, luogo di ritrovo al di là del calcio” e azzardava persino una data: stagione agonistica 2001/2002.
Totò Naldi, gli americani, gli inglesi e la quotazione in borsa (2002)
Nonostante qualche discussione in consiglio comunale, la questione sparisce dai radar per un paio d’anni. A riportarla nel dibattito pubblico ci pensò Totò Naldi, alla sua prima uscita da Presidente del Napoli. “Il San Paolo deve diventare un punto di incontro per gli appassionati, durante tutta la settimana” disse l’imprenditore napoletano mentre annunciava l’ingresso in società, poi mai avvenuto, degli americani della Marriott Hotel.
Di lì a qualche giorno la sindaca Iervolino annunciava l’esistenza di un progetto per la gestione del San Paolo. Il Napoli, stando alle cronache dell’epoca, puntava su uno stadio tutto suo, presupposto decisivo per la successiva quotazione in Borsa (anch’essa mai avvenuta). Passa qualche mese (gennaio 2003), si fanno largo le prime notizie sulla crisi societaria che azzererà la società e dalle cronache spunta il presunto interessamento di una cordata internazionale di cui avrebbero dovuto far parte, oltre agli americani di cui si è detto, gli inglesi della CSS Stellar, società leader, all’epoca, nella gestione di eventi sportivi. Ancora una volta al centro delle trattative c’era la gestione del nuovo San Paolo. Sul versante calcistico, intanto, si discuteva della permanenza di Stellone.
L’anello attorno al San Paolo: fitness, ristoranti e concerti rock (2003-I)
Lo Stadio Diego Armando Maradona (2003-II)
Arriva De Laurentiis e lancia un ultimatum al Comune per lo stadio (2004)
Il Napoli è fallito, si riparte dalla serie C, con un nuovo nome (Napoli Soccer) e senza palloni. Ma il neo presidente Aurelio De Laurentiis su una cosa è determinato come non mai: il Napoli ha bisogno di un nuovo stadio. Sullo sfondo c’è la polemica con il Comune per la concessione dell’impianto. La burocrazia va un po’ per le lunghe, le istituzioni latitano e così De Laurentiis tuona: «aspetto 21 giorni, dopodiché lo stadio me lo costruisco da solo». In realtà dovranno passare ancora parecchi mesi per risolvere la questione della concessione, del nuovo stadio nessuna ombra, ma nel gennaio 2005 il Presidente si concentra su Castel Volturno e sull’impianto che ospiterà gli allenamenti del Napoli.
Individuate due zone per il nuovo stadio: Napoli Est e Napoli Nord (2005)
Addio a ristoranti, negozi, lo stadio va rifatto per gli Europei (2006)
Stadio da 50.000 posti a Scampia entro 3 anni (fine 2006)
Dopo qualche tentennamento, sul finire del 2012, il Consiglio comunale rompe gli indugi ed approva all’unanimità una mozione per la costruzione di un nuovo impianto a Scampia. Capienza: 50.000 posti; costo: 116 milioni. Il progetto valutato è quello della società “Innovare Stadi” di Dario Boldoni. Il Napoli però non ci crede e sceglie di aspettare gli eventi. L’allora dirigente Pierpaolo Marino fa capire che gli azzurri vogliono essere coinvolti nella gestione del nuovo impianto ma si mostra scettico sulla sua realizzazione.
Pancalli, fresco di proroga, mostra ottimismo e sottolinea l’impatto sociale del nuovo impianto a Scampia. L’assessore Alfredo Ponticelli annuncia addirittura che a Napoli si giocherà una delle semifinali di Euro 2012. Napoli non accetta ruoli da comprimari nella grande manifestazione continentale, così come non aveva accettato un contentino dopo aver perso la sfida per ospitare la Coppa America di Vela. Iervolino, Di Palma e Bassolino vanno da Prodi (nel frattempo l’Ulivo è tornato al governo, durerà poco), che mette in agenda il nuovo stadio insieme al risanamento idreogologico, all’istituzione di una zona franca e alla ristrutturazione dell’Albergo dei Poveri.
L’Epifania del 2007 si porta via, insieme alle feste, anche l’euforia per lo stadio a Scampia. Antonio Corbo parla esplicitamente di utopia (e intanto si preoccupa della discontinuità di De Zerbi e dello sterile attacco del Napoli di Reja), gli architetti si preoccupano di non ripetere gli errori passati, ma è De Laurentiis che stramba con decisione e riporta tutti con i piedi per terra: “Non si possono spendere 200 milioni di euro per un nuovo impianto quando ancora non si è risolto il problema della viabilità e dei posti di lavoro. Napoli ha delle priorità da secoli, è giunto il momento che questa città diventi la locomotiva di un Sud che rigeneri tutta l’Italia. Mi sembra ignobile, oltre che scorretto dover interessare prioritariamente di investire 200 milioni di euro in un nuovo stadio, ovunque esso si costruisca”.
Iervolino intanto sfida De Laurentiis a candidarsi a sindaco se vuole avere voce in capitolo sul nuovo stadio.
La scadenza imposta dall’Uefa si avvicina, il progetto non è ancora stato depositato, i rapporti con il Napoli sono ai minimi termini, gli investitori non ci sono, ma dal Comune di Napoli rilanciano. When in troubles, go big, sembra dirsi l’assessore Ponticelli che lascia filtrare alla stampa il progetto che a Palazzo San Giacomo stanno mettendo a punto: una Cittadella dello sport e del divertimento da 300 mila metri quadrati con uno stadio da sessantamila posti, il nuovo “Pala Argento” per basket e pallavolo, un palazzo della musica, residenze, alberghi, centro congressi e centri commerciali. Costo dell’operazione: 400 milioni di euro.
Arrivano gli olandesi. Tornano cinema, teatro, ristoranti e alberghi (2007-III)
Sul finire di gennaio, a pochi giorni dalla scadenza Uefa, irrompe sulla scena una società olandese, la Multi investment. Al Comune non sanno nulla, ma la notizia viene confermata dagli ambienti militari (le aree sulle quali dovrebbe sorgere il maxi complesso sono ancora di proprietà demaniale) e sembrerebbe fondata. Nel giro di un paio di giorni trapelano altre notizie: non ci sarebbero solo gli olandesi; si parla di una cordata direttamente da New York e, soprattutto, per bocca del presidente dell’Acen Ambrogio Prezioso, si fanno vivi i costruttori napoletani: ci sono anche loro.
Intanto De Laurentiis affronta il Comune e pone le sue condizioni: mantenere in piedi il San Paolo e garantirgli l’agibilità finché non ci sarà, forse, un giorno, un nuovo stadio. Iervolino scambia questa affermazione per un sì e parla di pace tra Comune e Napoli Calcio.