Ha certamente fatto del bene al Napoli, ma sempre nell’ambito di un rapporto di lavoro. L’idea di lasciarlo partire a zero non è romantica, è fuori contesto
Trenta milioni sono troppi
Bisognerebbe interrogarsi a lungo sul significato del termine gratitudine che la Treccani definisce “sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare”. Affetto verso chi ci ha fatto del bene, e desiderio di poterlo ricambiare.
Possiamo parlare di gratitudine nel caso Hamsik? Il capitano del Napoli vorrebbe lasciare il club in cui milita da undici anni, vorrebbe trasferirsi in Cina dove percepirebbe uno stipendio quasi triplo rispetto a quello attuale. Ma il prezzo del cartellino è ritenuto troppo alto dallo Shandong Lunengclub che vorrebbe risparmiare sui trenta milioni richiesti da De Laurentiis. Trenta milioni che diventerebbero sessanta con la tassa sul lusso prevista in Cina. Il capitano si è seduto a tavola col presidente e gli ha chiesto un gesto di magnanimità: “abbassa il prezzo del cartellino e lasciami andar via”. “Non se ne parla proprio” è stata la risposta peraltro più che prevedibile.
Raiola e il numero 17
Ma torniamo alla gratitudine. Hamsik ha fatto del bene al Napoli in questi anni? Certamente sì. Ha contribuito alla crescita della squadra, l’ha accompagnata per mano. E lo stesso si può dire del Napoli con Hamsik. Lo ha trasformato in un centrocampista di livello europeo. Non ha mai raggiunto i livelli di Gerrard o Lampard, ma è stato ed è un signor calciatore. Che a Napoli ha battuto il record di gol di Maradona.
Hamsik ha fatto del bene al Napoli, ma ovviamente lo ha fatto nell’ambito di un rapporto di lavoro. Lavoro particolare, se vogliamo, visto il coinvolgimento emotivo di tante persone. Ma sempre di rapporto di lavoro si tratta. Si può dire che ha svolto bene il proprio lavoro ed è stato pagato per questo. Qualche volta è stato lui a dare al Napoli qualcosa in più; altre volte è stato il Napoli a farlo. Sì, Hamsik ha rifiutato altre squadre in passato – Milan e Juventus -, ha scelto lui di restare. Mino Raiola lo abbandonò perché capì che con lo slovacco non ci avrebbe guadagnato granché.
Ha scelto una vita tranquilla, ha preso casa a Licola, è stata una presenza discreta in undici anni. L’unico che resiste dalla prima in serie A del Napoli di De Laurentiis, quel Napoli-Cagliari al San Paolo con un caldo soffocante. Senza dimenticare un merito sottostimato: il coraggio di aver sfidato la scaramanzia napoletana sul numero 17. Avrebbe meritato in questi anni il parere di un antropologo.
Altri club non ricambierebbero la cortesia
L’idea di “liberare” il simbolo del Napoli a costo zero è totalmente fuori contesto. Nemmeno può definirsi romantica, il romanticismo è un’altra cosa. Sono rapporti di lavoro. Altri club che non userebbero la stessa premura quando il Napoli andrà a bussare per acquistare il potenziale sostituto di Hamsik. Il calcio è strano. È business, è industria, cui però tutt’attorno si è costruito un’impalcatura degli affetti che rende questo sport ancora oggi così attrattivo. Ma è una finzione, almeno per i protagonisti. Per gli spettatori no.
E ciascuno deve recitare il suo ruolo. A De Laurentiis quello del cattivo, in questo caso ad Hamsik quello del buono. È anche giusto che la platea si divida. Ma la platea, come sappiamo, non ha bilanci da redigere. Pensa ad altro, giustamente dal proprio punto di vista. In quell’altro, però, c’è anche il futuro del Napoli. Che ovviamente ha più chance di essere competitivo con trenta milioni in cassa che senza Hamsik né i soldi.