Dal Napoli sistemico al Napoli fluido: le opportunità ma anche i pericoli. I calciatori più adattabili al nuovo modello di gioco e un doveroso approfondimento su Insigne
Con questo longform, inauguriamo una nuova rubrica di presentazione sul Napoli di Carlo Ancelotti. Tre firme del Napolista proveranno ad anticipare i temi tattici, politici e di mercato del nuovo corso partenopeo. Il primo pezzo riguarda il possibile impatto del tecnico di Reggiolo sulla rosa attuale del Napoli.
Alfonso Fasano (AF): Ci siamo lasciati qualche settimana fa con l’ultima guida, quella che fantasticava su Ancelotti come nuovo allenatore del Napoli. Era un lavoro fondato su una semplice indiscrezione, alla fine il discorso è diventato realtà tangibile. Proprio per questo, ora abbiamo deciso deciso di ampliare i contenuti di quel pezzo, con un piccolo ciclo di articoli sul Napoli che verrà. Ci siamo io e Charlie Repetto – la squadra “classica” -, ma anche un terzo uomo, per dirla alla Johan Cruijff. Si tratta di Alessandro Cappelli, già firma del Napolista e di Rivista Undici, esperto di calcio internazionale e soprattutto grande appassionato del Real Madrid. Quindi, testimone oculare dell’Ancelotti “recente”, dal 2013 al 2015 sulla panchina blanca.
Il tema di questo primo dialogo è solo apparentemente semplice: ora che Ancelotti è davvero il nuovo allenatore del Napoli, è doveroso e interessante chiedersi quanto il Napoli sia o possa essere una squadra pronta per il calcio di Ancelotti. In alcuni pezzi pubblicati negli ultimi giorni, il Napolista ha parlato insistentemente di Carletto come un «allenatore fluido». Una definizione che si discosta un po’ dalle idee sistemiche di Sarri. Ecco, io direi che partire da questa differenziazione ci permetterebbe di introdurre meglio, con maggiore cognizione, l’analisi sull’organico attuale del Napoli. E credo anche che Charlie sia la persona giusta al posto giusto per tracciare una mappa ideale dei tecnici moderni, e per capire in quale zona geografica vada posizionato Ancelotti.
L’allenatore liquido
Charlie Repetto (CR): In uno dei pezzi in cui parlavamo di un ipotetico abbandono di Sarri scrissi che una delle prime cose da fare sarebbe stata trovarsi delle alternative linguistiche per raccontare il nuovo corso del Napoli. Ecco, quell’abbandono è avvenuto. E ora ci troviamo nella posizione scomoda di dover raccontare un nuovo allenatore senza aver ancora inventato un lessico adatto a farlo. Sicuramente, come dici tu, Ancelotti non è un allenatore totalmente sistemico, è un allenatore con dei concetti ma non è un allenatore di concetto; sa affidarsi all’anarchia ma senza essere un anarchico. Praticamente, siamo davanti a quella tipica situazione in cui è più semplice parlare di qualcosa definendo quello che non è.
Facciamo così: la definizione di allenatore fluido è sicuramente un buon inizio. Però mi prendo la libertà di giocare un po’ con le parole e provo ad affinare il concetto. Vi va se ci mettiamo a parlare di Ancelotti come di un allenatore liquido? Si tratta di una terminologia perfetta per descriverlo, sia come immagine visiva che nella sua accezione più sociologica. Quando leggo cose come: “il cambiamento è l’unica certezza” o quando sento parlare di fine degli estremismi in riferimento alla visione liquida del mondo… di cosa stiamo parlando se non della visione calcistica di Carlo Ancelotti?
Smontare la macchina
Volendo insistere con l’idea di spiegare Ancelotti utilizzando la distanza tra lui e Sarri, allora possiamo dire che Sarri è sicuramente un allenatore più sistemico. Nel senso che al centro del suo mondo c’è il concetto. E l’umanità che serve a mettere in campo quel concetto è un accessorio, che può anche fare la differenza ma resta pur sempre un contorno. Questa è la visione che ti permette di perdere l’attaccante più prolifico della Serie A, e di trovarne un altro. Ha provato a farlo, certo non senza difficoltà, ma alla fine ci è riuscito; ha insegnato i suoi concetti a Mertens e Mertens li ha messi in campo, magari con le sue caratteristiche, ma senza variazioni sostanziali dello spartito.
Ora mi prendo la libertà di fare un vero e proprio esperimento mentale: cosa avrebbe fatto Ancelotti nella stessa situazione? Ecco, per me Carletto avrebbe proprio cambiato lo spartito. Per tracciare ancora meglio le distanze: quante volte abbiamo sentito parlare del Napoli di Sarri come di una macchina? Bene, nel calcio può capitare che la macchina smetta di funzionare, e allora ci sono due strade: sei un allenatore sistemico quando vuoi aggiustarla e ti metti ad oliarne gli ingranaggi; sei un allenatore liquido quando ti metti a rimontarla al contrario per vedere se funziona meglio di prima. Siamo al punto: quante volte è riuscito ad Ancelotti questo trucchetto di rimescolare i pezzi per trovare nuove soluzioni? Pirlo davanti alla difesa, Anelka all’ala, Di Maria mezzala. Giusto per fare qualche esempio.
Andrea Pirlo nel Milan di Ancelotti
Ancelotti è uno che mette gli uomini prima di tutto. Il suo impianto di gioco non è alienante. Ha le maglie larghe e lascia margine alle intuizioni, alle esecuzioni, ai cambiamenti. Uso il termine alienante non a caso: non è forse questo il difetto principale che abbiamo riconosciuto a Sarri in questi anni? Il fatto che non si scappasse mai dalla macchina, che non ci fosse mai un piano B.
Ora questo non vuol dire che Ancelotti sia un allenatore che rinuncia totalmente al gioco, e neanche che non gli piaccia il calcio di possesso: arrivato al Real, chiese l’acquisto di Isco e Illarramendi, diede un ruolo centrale nella manovra a Luka Modric. Sono tutte operazioni di uno che vuole giocare con il pallone tra i piedi, magari senza eccessi o ideologie, questo sì. Non dobbiamo aspettarci nulla di estremo da lui: né il gioco di posizione più ortodosso, né l’entropia smisurata della nuova scuola tedesca/austriaca, né la reattività accorta della scuola italiana. Credo che a Napoli vedremo un assemblaggio equilibrato di questi concetti e la proporzione tra gli ingredienti si deciderà partita dopo partita.
Mi piacerebbe, a questo proposito, prendere in prestito un termine degli e-sports: nei videogiochi competitivi ci sono alcuni personaggi che non sono specializzati in nessun ruolo particolare, ma che possono svolgerne molti con discreti risultati. Si chiamano all-arounder, e secondo me questo è un altro termine che sta bene addosso ad Ancelotti. Le qualità di un all-arounder sono l’imprevedibilità, la capacità di adattarsi a diverse situazioni. Un buon giocatore all-around è uno che spaventa già prima del match, semplicemente perché ha così tante strade da poter percorrere che è difficile pensare di poterle bloccare tutte. E queste sono esattamente le qualità di Carletto, allenatore all-around.
All-arounder e metagioco
A questo punto voglio lanciare una provocazione, e lo farò affidandomi ancora al lessico e-sportivo – mi perdonerete dell’abuso di geekness ma trovo che se vogliamo svecchiare il lessico dobbiamo andare a pescare lontano. Avete presente il concetto di metagioco? Il metagioco racchiude tutti quegli aspetti di un gioco che non sono controllati dalle sue regole ma dai contesti, dall’ambiente e dalle situazioni che si sviluppano intorno ad esso.
Ad esempio: lo stile di gioco di una squadra fa parte del metagioco e quello stile influenza il metagioco di tutte le altre squadre che devono affrontarla. Ecco: io trovo insindacabile che in questa fase storica precisa il metagioco del calcio sia monopolizzato dal gioco di posizione puro: si tratta di un monolite enorme e qualsiasi allenatore deve saperci scendere a patti. Sia che abbia l’ambizione di stare dalla parte del Golia scegliendo di praticarlo sia che voglia impersonare Davide trovandogli delle contromisure. Un allenatore moderno non può, come direbbero gli e-sportivi, ignorare il metagioco.
Ecco: la mia paura è che la natura da jack of all trades di Ancelotti lo possa confinare in una dimensione da allenatore anacronistico, fuori dal meta e fuori dal mondo. Senza la coperta rassicurante del gioco di posizione, senza nessuna idea precisa su come annullarlo, si rischia di ballare sul confine sottile tra l’essere una squadra dalle molte identità all’essere una squadra con nessuna identità. E cadere da un lato o dall’altro della linea fa tutta la differenza del mondo. Ora c’è da capire se Ancelotti, insieme alla rosa che gli affideremo, avrà gli strumenti per guidarci verso quella strada lunga e tortuosa che abbiamo chiamato liquidità. E su questo lascio esprimere Alessandro, che ha potuto seguirlo sicuramente più a lungo di me nella sua esperienza a Madrid.
Un’esperienza dagli esiti abbastanza positivi
Alessandro Cappelli (AC): Intanto ringrazio Charlie: ha trovato una definizione che mi piace molto, partendo da un lavoro di sottrazione, eliminando tutto il superfluo, quindi tutto quello che Ancelotti non è. E anche per avermi dato un assist molto interessante, dicendo che Ancelotti non è un allenatore solo reattivo o uno che si limita a modellare la squadra sulle caratteristiche dell’avversario senza proporre qualcosa per determinare il contesto.
Perché, dipendesse da lui e dal suo personalissimo senso estetico, probabilmente, proverebbe a imporre qualcosa del tipo: “mettiamo la tecnica al centro del villaggio e il resto viene di conseguenza”. Tutto questo lo troviamo anche nella sua storia più recente, nell’esperienza al Bayern, dove ha scelto inizialmente Thiago Alcantara come uomo-chiave per guidare la macchina bavarese. Poi ha chiamato in Germania James Rodriguez, per moltiplicare le sue opzioni in un calcio che ha alla base l’esaltazione della qualità.
Cambiare (nel senso di elasticità)
Ancelotti è un allenatore che in tanti anni di esperienza – in giro per il mondo e con una schiera di presidenti “impegnativi” che va da Berlusconi a Florentino Pérez, passando per Abramovich e Al-Khelaifi – ha imparato ad aggiornare il suo database sempre con cose nuove. C’è un passaggio della sua autobiografia (Il leader calmo) che rende perfettamente l’idea:
«Quando ero al Parma ci fu la possibilità di acquistare Roberto Baggio. Allora io giocavo sempre con il 4-4-2, e decisi di non prenderlo perché lui voleva giocare dietro le punte. Fu un errore, adesso me ne rendo conto. Avrei potuto utilizzarlo come centrocampista offensivo. Ai tempi dissi no, mi rifiutai di cambiare la mia idea di calcio perché non ero abbastanza sicuro di me. Non avevo esperienza, mi preoccupai, anche se in fondo sapevo che era uno sbaglio. Avrei dovuto lavorare con Baggio, trovare il modo di inserirlo nei miei schemi».
Il brano continua con l’avventura juventina. A Torino, pur di esaltare le doti di Zidane, Ancelotti costruì un modulo 3-4-1-2. Aveva imparato dai suoi errori. Il nuovo allenatore del Napoli, quindi, è uno che sa fare tesoro delle esperienze, e oggi sa essere “elastico”, quindi efficace in diversi contesti, e in molti modi diversi. I tecnici che definiamo “di sistema” o “dogmatici” sono quelli che vorrebbero piegare la realtà alla loro visione del mondo; Ancelotti ha capito che certe volte può derogare ad alcuni dei suoi principi se dovesse servire per raggiungere un traguardo. Tradotto: dare priorità al talento per permettergli di sbocciare. Sempre provando a mantenere equilibrio, che non vuol dire far adattare il giocatore alla squadra, ma modellare la squadra per esaltare quelle qualità.
La doppia transizione del Madrid
Prima ho citato l’esperienza al Bayern, ora torno un po’ più indietro, al primo anno di Real Madrid. Come ha già spiegato Charlie, al suo arrivo in Spagna Ancelotti aveva provato a costruire una squadra orientata sul possesso palla, per organizzarsi e disorganizzare. A stagione in corso ha dovuto cambiare qualcosa: aveva capito di avere a disposizione un parco attaccanti innamorato delle corse in campo aperto (Bale, Di Maria, Cristiano Ronaldo su tutti). Così, chiudersi dietro per attaccare in spazi più ampi poteva pagare ottimi dividendi contro squadre come il Barcellona e il Bayern di Guardiola (finale Copa del Rey e semifinale di Champions), e contro tante avversarie in Liga.
Dopo la conquista della Décima, però, Xabi Alonso e Di Maria vennero rimpiazzati con Kroos e James. Il cambio Xabi → Kroos avrebbe peggiorato le fasi di difesa posizionale; il cambio Di Maria → James (complice anche gli infortuni di Bale) avrebbe demineralizzato gli sprint in ripartenza. Così è tornato sull’idea di una squadra votata al possesso e alla costruzione di azioni manovrate. Ha costruito centrocampo di soli palleggiatori – Isco-Kroos-Modric-James -, che aveva la presunzione di sfidare in estetica alcuni dei pezzi più pregiati del patrimonio artistico spagnolo.
Come giocava il Madrid di Ancelotti
Questo suo modo di essere allenatore, ma anche leader – inteso come rapporto con i calciatori – calmo e flessibile potrebbe essere un problema, per i motivi spiegati da Charlie (rischiare di ritrovarsi senza un’identità vera e propria). Ma può anche portare grossi vantaggi nell’arco di una stagione. Alcune delle intuizioni citate, la convivenza di Seedorf (mezzala) e Pirlo (mediano), il riposizionamento di Di Maria (mezzala), in realtà sono scelte nate dalla necessità – che lui stesso definisce «la madre delle invenzioni» – e dalle circostanze, che banalmente in questi casi erano infortuni di uomini chiave come Shevchenko e Khedira.
Adesso c’è bisogno di applicare questa capacità di fare necessità virtù alla rosa del Napoli. E di “produrre” – nel vero senso del termine – il passaggio da un’idea di calcio sistemica a un modello liquido. E per questo do nuovamente la parola ad Alfonso che, dopo aver letto i nostri interventi, immagino abbia già pensato a diversi temi.
La rosa del Napoli
AF: Sì, devo ammettere che mentre spiegavate cosa fa – quindi chi è – Carlo Ancelotti, ho iniziato ad applicare idealmente il suo modello a tutti i calciatori nella rosa attuale del Napoli. In questo senso, Charlie ha già scritto qualcosina nella guida pubblicata un mese fa:
«La difesa è costituita da calciatori con un fortissimo senso dell’anticipo e con grandi qualità nello scappare all’indietro, ma senza grandi doti in marcatura. I due terzini destri non hanno la qualità per proporsi efficacemente in attacco e non sono ottimi crossatori; Callejon ha moltissime qualità ma forse gli mancano le caratteristiche per essere efficace rientrando verso il centro (con Ancelotti sarebbe finalmente il momento dei piedi invertiti?); Jorginho non avrebbe davvero modo di trovare spazi (lui è il calciatore sistemico per eccellenza)».
La narrazione del calciomercato sta rispettando perfettamente questi assunti: Jorginho è praticamente passato al Manchester City (toh, una squadra sistemica); Maggio non ha rinnovato il suo contratto e si parla insistentemente di un nuovo terzino destro (Lainer?); Callejon è l’unico calciatore del reparto offensivo per cui si può ipotizzare, al momento, una cessione. In più si è aggiunta la probabile partenza di Hamsik, attratto da una proposta economica fantascientifica, ma anche timoroso di perdere la sua storica dimensione di intoccabile.
Siamo emotivamente pronti al loro addio?
Alcuni degli elementi più “specializzati” della rosa di Sarri sono sul piede di partenza. È un segnale chiaro, soprattutto secondo il duplice significato del termine “specializzato”, riferito alla collocazione tattica e alle tipicità del gioco di un calciatore moderno: Jorginho è un centromediano scolastico dal punto di vista posizionale, bravissimo secondo una precisa interpretazione della fase di costruzione, è un regista che rende con due mezzali al suo fianco e con un dispositivo di possesso rapido, sincopato, intensivo; Hamsik ha sviluppato negli anni una fisicità e un modo di stare in campo che hanno bisogno di un certo supporto da parte della squadra, il suo menu tecnico è più vario ma si nutre di certi movimenti codificati dei compagni – che gli aprono lo spazio o suggeriscono linee di passaggio; Callejon è eccezionale nell’esecuzione della giocata meccanica e finale, ma diventa un calciatore normale nella costruzione della manovra offensiva.
Ecco, ho fatto come Charlie: ho agito pure io per sottrazione, ora viene facile capire come “gli altri” siano calciatori più adatti all’idea di calcio di Ancelotti. Nella guida avevo scritto di Diawara, definendolo come «un giocatore ancora multiforme, ancora adattabile, versatile perché potenzialmente in grado di giocare in molti modi». Quello di Amadou è il profilo grezzo di calciatore liquido, perfetto per Ancelotti. Ma ci sono anche degli elementi con un portfolio più compiuto e strutturato, eppure perfettamente adattabili al nuovo corso.
Piotr Zielinski
Penso a Piotr Zielinski, innanzitutto – e anche qui le notizie di mercato mi vengono in soccorso. Quello sul centrocampista polacco è un discorso tattico molto profondo, che addirittura Sarri ha provato a declinare su due posizioni: mezzala moderna alla De Bruyne – con tutte le proporzioni del caso – ed esterno offensivo a piede invertito, nello slot di Insigne. Ecco, Zielinski ha risposto bene a queste sollecitazioni, all’interno di un gioco sistemico è riuscito a interpretare in maniera convincente entrambi i ruoli.
Ora pensate ad un modello più aperto, più libero: Piotr potrebbe diventare il calciatore-cuneo tra il 4-3-3 e il il 4-2-3-1, se vogliamo ridurre il tutto alla banalità dei moduli. Da mezzala destra o sinistra potrebbe scambiarsi ruolo con Verdi o Insigne, diventando esterno e lasciando loro il centro del fronte offensivo; da esterno nominale a sinistra potrebbe duettare con Ghoulam, oppure lasciargli spazio e rientrare nel campo, accanto alla prima punta, creando nuove geografie nell’occupazione dell’area di rigore.
Sarebbe un modo per responsabilizzare e insieme svincolare il suo talento, una sorta di impulso perché possa prendere in mano la squadra, garantendole letture avanzate – e quando scrivo “avanzate” non mi riferisco alla posizione in campo, piuttosto alla sofisticatezza della giocata, della soluzione. Anche Verdi potrebbe aspirare a un percorso simile – il Napolista ne ha scritto qui, citando anche Mancini che lo vede come futura mezzala -, però siamo su una dimensione ancora ipotetica.
Piotr Zielinski compilation
Ho “chiamato” Diawara, Zielinski e Verdi perché in qualche modo sono i profili più versatili, più liquidi, almeno a un primo impatto. Poi inserirei in questo discorso anche calciatori dal ruolo più definito: Ghoulam – che in realtà aveva attribuzioni abbastanza ampie anche con Sarri, prima di infortunarsi – potrebbe giovarsi di una maggiore varietà di soluzioni; Koulibaly, dall’alto di una crescita incredibile dal punto di vista della concentrazione, potrebbe esaltarsi anche in un sistema difensivo meno aggressivo. Quello stesso contesto che, in un qualche modo, potrebbe addirittura portare a una rivalutazione di Maksimovic. Ora, però, chiedo aiuto a voi: ho la colpa tremenda di aver dimenticato qualcuno?
Passo la parola a Charlie, lanciandogli anche una provocazione: oltre ad integrare il mio discorso, mi dai un giudizio sulla possibile evoluzione di Insigne con Ancelotti? Un avviso: voglio che eserciti al massimo la tua ars oratoria, perché entriamo in un campo minato, siamo in equilibrio instabile tra il nuovo leaderismo tecnico ed emotivo di Lorenzo, l’importanza del sistema per esaltare un calciatore come lui, l’incertezza del mondo intero sul suo valore effettivo. Già una volta, su queste pagine, tu costruisti una vera e propria utopia politica: il ritorno di Insigne al ruolo di trequartista centrale. Fu un pezzo che (mi) piacque parecchio, magari si può partire da lì.
Lorenzo Insigne
CR: Credo tu abbia rivelato tutte le criticità e i punti di forza della rosa del Napoli. In questi tre anni di Sarri l’abbiamo vista confrontarsi sempre con lo stesso sistema, e questo ha finito per farci credere che questi ragazzi non avessero nessun’altra qualità oltre la capacità di eseguire con precisione uno spartito perfetto. Si tratta di un pensiero estremo e irrealistico: non è vero che la rosa del Napoli è solo un assemblaggio di ottimi turnisti che salgono sul palco per eseguire le canzoni degli altri. Ci sono giocatori dalle caratteristiche uniche, c’è molto talento individuale declinato sotto varie forme.
Insigne rientra pienamente in questo discorso. Rispondo alla tua provocazione con una personale sicurezza: Insigne sarà il leader tecnico e spirituale di questa squadra. Per via delle ovvie ragioni geografiche, del probabile abbandono di Hamsik; perché è semplicemente il calciatore col talento più puro dell’organico. E perché se a Napoli vedi un bambino con addosso la maglia del Napoli è molto probabile che ci sia il 24 stampato dietro.
Se guardo agli cinque anni, Insigne è quello che in senso assoluto ha mostrato i miglioramenti più evidenti. Ha avuto ottimi maestri, ma ci ha messo molto del suo. Ve lo ricordate al suo ritorno da Pescara? Avevamo addirittura dei dubbi sul fatto che potesse essere un calciatore professionista. Ora è una delle ali più professionali del calcio mondiale: è associativo, talentuoso, sa gestire le energie lungo l’arco della partite ed è attento alla fase di non possesso. Ha anche ampliato il suo bagaglio di soluzioni sotto porta (ora prova anche a sorprendere il portiere sul primo palo o con il drop al volo). Questi sono sintomi di una crescita mentale prima che tecnica.
Lorenzo Insigne, posa classica. Fotografia di Matteo Ciambelli
Ora credo ci sia da porsi questa domanda ed è la domanda che mi sono posto anche nel pezzo che citi: Insigne sull’esterno, in una squadra tra le più rigorose e meccaniche della storia del calcio, è riuscito a prendersi quello che gli serviva. È riuscito ad acquisire il rigore e la regolarità nelle giocate che serve ai campioni, ha imparato a mettersi al servizio di un fine più grande di lui. Come giocatore ha guadagnato tanto dal sistema in cui era immerso. Però quanto quel sistema gli ha poi anche tolto?
Alcune volte durante questa stagione ho avuto l’impressione che Insigne stesse finendo per trasformarsi in una di quelle macchine che sparano i palloni durante gli allenamenti: il lancio ad aprire a destra, il muro per fare l’uno-due rapido con Mertens, il tiro a giro sul secondo palo. Stava finendo per diventare uno specialista. Uno che fa un paio di cose estremamente bene ma che è costretto a ripeterle ad oltranza perché ha finito per disabituarsi all’utilizzo della creatività.
Ed è un peccato perché Insigne è un giocatore molto creativo: vede gli spazi in un altro modo e ha le qualità tecniche per lanciare i compagni in profondità; è sensibile in vari punti del piede e non ha paura dei fischi. Ora avrà anche la possibilità di giocare da leader tecnico in un sistema che gli permette di provare a fare molto altro e di dimostrare il suo talento.
Il resoconto stagionale di Insigne, con la musica truzza
Facciamo così: Insigne ha attraversato cinque anni di apprendistato in bottega. Se è vero che la gavetta è quel periodo in cui smetti di fare le cose che ti piacciono per tornare a farle più avanti nella tua vita con più cognizione di prima… allora è arrivato il momento per Insigne di accantonare la gavetta e tornare a fare quello per cui è nato: servire assist inspiegabili ai compagni, far risplendere il suo talento in modi che neanche lui riesce più ad immaginare. E magari smettere di guardare sempre a destra con la certezza di trovare Callejon.
Praticamente, abusando della metafora musicale, gli sto chiedendo di smettere di essere il più bravo tra i turnisti e cominciare ad essere il primo tra i compositori. Mi spingo anche su una considerazione leggermente più percettiva: se esiste una sola persona che può fargli fare questo ulteriore salto di qualità, allora quella persona è proprio Ancelotti.
Ghoulam e Rog
Il discorso su Insigne vale anche per Ghoulam – su cui hai glissato per dare spazio ad altri, ma che merita una menzione speciale. Faouzi è un terzino completo, sta a suo agio con gli scambi rapidi palla al piede ed ha formato una terziglia devastante con Hamsik e Insigne. Ma ha qualità ancora inesplorate: ha un piede educato e una visione di gioco che gli permetterebbero di fare il terzino postmoderno (quel ruolo ambiguo tra il terzino e l’interno di centrocampo con sfumature da regista portato alla ribalta da Guardiola a Monaco). Ma ha anche corsa, fisicità e costanza per fare il terzino premoderno. Per capirci, quello che arriva sul fondo e crossa, con gli avversari attaccati alla maglia.
Possiede il colpo di sinistro dalla distanza, si tratta di una soluzione estemporanea quanto vuoi però anche questo fa parte di quella sfera dai bordi indefiniti che chiamiamo talento, che è la capacità di raschiare il fondo del barile durante le difficoltà e trovarci comunque qualcosa.
Faouzi Ghoulam, fotografato da Matteo Ciambelli
Abbiamo anche Marko Rog, e sono sicuro che sarà un altro che riceverà i benefici del trattamento Ancelotti. Ci renderemo conto di quanto sia sottile la distanza tra l’etichetta di equivoco tattico e quella di giocatore liquido. Effettivamente Rog è un giocatore di difficile collocazione se inserito in un contesto canonico di possesso: ha uno stile di gioco un po’ elettrico e dà l’impressione di avere troppa fiducia nella potenza delle sue gambe, tende a forzare la verticalizzazione o la conduzione palla al piede. Sono tutte caratteristiche inadatte all’ambiente iper-controllato del calcio di concetto, ma in un contesto più entropico il breaker, il randomizzatore, colui che spariglia le carte utilizzando armi non convenzionali, è uno che fa sempre comodo.
Poi, giusto per alleggerire un po’ i toni, mi sembra anche uno un po’ loco in maniera molto positiva. E al Napoli serve davvero uno che scrolli di dosso quest’aura di squadra iper-uranica, perfetta e correttissima, che si trascina dietro in questi anni.
Il paradiso dell’astrazione
Gli americani hanno un modo di dire molto bello: quando finisci per innamorarti così tanto di un modello teorico che cominci ad ignorarne le sue implicazioni pratiche, si dice che vivi nell’abstraction heaven, il paradiso dell’astrazione. Un posto bellissimo dove tutto è astrattamente perfetto ma pericolosamente inapplicabile. Ecco: non dico che a noi sia successo questo, non ci siamo trasferiti nell’abstraction heaven, ma abbiamo corso il rischio di farlo ignorando sistematicamente i giocatori più imprevedibili.
Ora io non voglio neanche che passi l’idea che questo processo di transizione sarà totalmente indolore: non lo è stato a Monaco principalmente per ragioni umane (ma quelle sono insondabili dall’esterno e a priori) e non lo sarà qua. Ci perderemo qualche pezzo per strada e alcuni dei calciatori che ci aspettiamo avranno vita facile non la avranno. Perché, per fortuna, esistono ancora degli elementi magici all’interno del calcio professionistico.
Del resto, mi rendo conto che abbiamo tracciato un quadro tendenzialmente roseo sulle prossime stagioni del Napoli e mi sembra che siamo tutti e tre allineati sulla classica posizione cautamente ottimista. Però viviamo in un mondo fatto di ragioni imperscrutabili: Guardiola fatica ad arrivare in semifinale di Champions League e Zidane ne vince tre di fila… che cosa ci sta sfuggendo? C’è qualcosa che stiamo dimenticando? Vorrei far rimbalzare la palla su Alessandro chiedendogli quale sarà, la variabile impazzita che potrebbe rovinare tutti questi piani bellissimi.
La questione psicologica
AC: Sono contento di essermi beccato il compito ingrato di cercare sfumature negative. Perché se non prendiamo in considerazione qualche scenario distruttivo, vuol dire che non stiamo valutando tutto lo spettro delle opzioni. Le possibili variabili impazzite che fanno crollare i sogni sono già presenti, leggendo tra le righe, in quel che abbiamo descritto fin qui. Per il momento ne ho individuate tre.
La prima riguarda il Napoli, inteso come club: negli ultimi anni Ancelotti ha lavorato con società enormi, veri e propri imperi – per fatturato, per diffusione del brand, per quanto sono strutturate come aziende, per il modo di comunicare. Non mi sembra di forzare la logica se dico che in tutti questi aspetti il Napoli non raggiunge le vette di Real Madrid, Bayern Monaco, Milan, Chelsea. A Napoli possono esserci meno pressioni (mediatiche, di risultati), ma ho la sensazione che rimbalzare da Milano a Londra, da Parigi a Madrid, possa essere per certi versi più semplice del passaggio da Monaco a Napoli.
E un primo riflesso di tutto questo sta nella capacità dello spogliatoio di dimostrarsi aperto a nuovi orizzonti. Ecco il secondo possibile motivo di frizione. Corro il rischio di sembrare banale e banalizzante, lo so, perciò non ne faccio un discorso di lettura statica delle qualità dei singoli calciatori come fosse un videogioco. Ma in termini di esperienza, di vissuto, di status dei giocatori con cui Ancelotti si confronterà ogni giorno, questo sì. Anche in campo, dove abbiamo previsto un passaggio dalla lettura dello spartito in stile orchestra all’improvvisazione di jazzisti in una jam session, le responsabilità che dovranno assumersi “gli ex turnisti” saranno molto maggiori rispetto al passato.
Ancelotti e Xabi Alonso
Riprendendo le parole di Charlie: rimango «cautamente ottimista» sulla possibilità che i vari Insigne, Zielinski, Ghoulam e Diawara possano adattarsi senza problemi al nuovo allenatore, o addirittura scoprirsi giocatori migliori di quanto non siano oggi. Più difficile che ci riesca un turnista purosangue come Hysaj, ad esempio. Ma non possiamo far finta che questa transizione sia solo tattica, o solo una questione di farsi carico di nuove responsabilità: è anche uno step psicologico, emotivo, un passo in avanti caratteriale. Territori in cui davvero si cammina sul filo, e dove basta molto poco per far inceppare la macchina.
L’ultimo dubbio riguarda proprio Ancelotti, semplicemente perché non può essere privo di difetti – e l’idea è figlia dell’ultima esperienza al Bayern. La notizia del suo esonero a inizio stagione ha sorpreso un po’ tutti. Soprattutto perché, in un modo o nell’altro, esonero deve far rima con fallimento. E “fallimento” è un termine che non credevamo fosse accostabile al personaggio. Non possiamo conoscere fino in fondo le dinamiche di spogliatoio – o i rapporti con la società – che hanno prodotto questo risultato, ma la notizia ha quanto meno scalfito l’aura di “leader calmo”, quasi infallibile, che Ancelotti si portava dietro.
Questa, per lui, sarà un’esperienza nuova. Sia perché diversa dalle precedenti squadre allenate, sia per motivi personali. Infatti si ritroverà per la prima volta a dover dimostrare che il suo ultimo datore di lavoro si è sbagliato.
Ci sono anche gli altri
AF: Alessandro ha toccato un punto fondamentale, la chiusura del cerchio di questa nostra piacevole chiacchierata. Una questione tecnica, e insieme mentale: Carlo Ancelotti e i giocatori del Napoli si prenderanno per mano, e inizieranno un percorso nuovo. Che è nuovo per tutti, secondo angolazioni diverse. Il rischio per il tecnico, oltre a quello di “bruciarsi”, è aver fatto confusione tra una “buona squadra” e “una squadra buona per sé”; quello per i calciatori è di non essere all’altezza o anche solo di non sentirsi all’altezza di andare oltre ciò che è stato. Di (provare ad) interpretare qualcosa di diverso, di (provare ad) essere qualcosa di diverso.
È una condizione reciprocamente complessa, per cui un’entità dovrà essere la stampella dell’altra. Da questo punto di vista, mi sento tranquillo riguardo Ancelotti: è uno che mette gli uomini e la loro tecnica al centro del progetto, per me si tratta di un investimento di e sulla fiducia che il Napoli-squadra può ripagare. La rosa di oggi è decisamente più forte rispetto a quella costruita da/assemblata per Benitez cinque anni fa, i tempi sono più maturi. Certo, nutro ancora dei dubbi su alcuni elementi: Hysaj, Mario Rui, Allan, per restare al tronco titolare.
Ecco, questi sono gli uomini che si sono giovati di più dal sistema di Sarri. Che hanno raggiunto certi standard di rendimento per merito del contesto più che dalla loro forza. Sono i calciatori meno dotati, e quindi più a rischio in questa transizione. Io credo che la qualità del gioco vada sempre di pari passo con la psiche, che il talento venga guidato dalla mente ma allo stesso tempo sia il primo requisito perché possa sussistere l’adattabilità ai cambiamenti. Forse sarò ingeneroso, non a caso prima ho scritto che la questione è tecnica e mentale, insieme. Intendevo proprio questo.
Anche se la sua stagione è stata eccezionale, da ogni punto di vista
Ancelotti avrà a che fare con un gruppo su due livelli, composto da tanti ottimi giocatori e da un certo numero di elementi meno qualitativi. Da questo punto di vista, dovrà svolgere un difficile compito del compromesso: il suo sistema di gioco sarà ovviamente diverso da quello di Sarri, ma non deve cancellare gli altri della rosa. Anche perché uno dei punti del suo contratto (programmatico e non) con il Napoli riguarda proprio il turn over, la valorizzazione dell’intero organico. Da questo gioco di equilibrismi, per me, passa il suo impatto su questa squadra. Certo, poi ci saranno anche da valutare e assorbire le operazioni di calciomercato. Ma di quello parleremo la prossima volta. Abbiamo appena cominciato.