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Camorra, sospetti, mi ricorda tanto la stagione dello scudetto perso

Ammettiamolo, sta accadendo qualcosa di strano attorno al Napoli. C’è un sinistro rumore di fondo che conduce dritti a una domanda che si aggira come uno spettro tra noi tifosi: il giocattolo si sta rompendo? Oppure si è già rotto? Le linee di discussione sono due e s’incrociano: l’ambiente esterno (dalle voci sulla camorra alle inchieste sulle scommesse) e il mistero degli equilibri interni tra presidente e allenatore e tra allenatore e squadra. Cosa sta succedendo, quindi? Premetto che qui sul Napolista, anche con dettagliati articoli, prevale una posizione di difesa, innocentista, che per alcuni versi mi vede d’accordo. Come dimostra la vicenda del video sul nostro portiere scontiamo pregiudizi a prescindere dal contenuto e mi viene in mente la battuta di un collega durante Napoli-Genoa, vista in redazione. Al gol di Pandev (arrivato al tiro completamente libero) qualcuno ha esclamato ironicamente: “Ma la camorra si è giocata l’over nel primo tempo?”. Insomma, che ci piaccia o no, queste storie confermano l’idea crociana di un paradiso comunque abitato da diavoli che fanno imbrogli o sceneggiate (ancora oggi, un altro autorevole collega, di fede milanista, conclude le sue mail con un eterno sarcasmo sulla monetina di Alemao) ed essere napolisti emigranti vuol dire pure sopportare tutto questo.

Conclusa la premessa, io però oggi vedo inquietanti analogie con la stagione 87-88, quella dello scudetto perso o venduto. Anche allora ci furono furti ai giocatori (compreso Lui). Anche allora si parlò di scommesse. Anche allora si parlò di camorra. Il ricordo di quel campionato, ancora oggi, mi provoca un dolore fisico. Non mancai nemmeno una partita allo stadio (in casa e fuori) e senza paura di essere smentiti si può tranquillamente dire che quello è stato il Napoli più forte di sempre. Impressionante. Eppure successe. Ci sono due trasferte che sono le due facce della stessa medaglia di contraddizioni e paradossi. La prima, a fine gennaio, ad Ascoli. Secondo me una partita da manuale, davvero perfetta. Quando l’Ascoli passò in vantaggio nessuno di noi si preoccupò. Anzi, si continuò a cantare, come se nulla fosse, e quattro minuti dopo il gol di Casagrande arrivò il pareggio di Diego. Il resto della Magica completò il tabellino. Tre a uno e la sensazione di una volontà di potenza che ci avrebbe fatto vincere il secondo scudetto. Non accadde e quando partimmo, per Firenze, dopo la tragedia del primo maggio con il Milan la matematica ancora non ci condannava. Arrivammo presto e andammo a Coverciano a seguire l’allenamento della squadra. Aggrappati alla rete gridavamo ai giocatori di non mollare e uno di loro, un difensore, si girò e ci gelò: “Ma che siete venuti a fare? Non avete capito che è finita”. Perdemmo tre a due e nel mesto viaggio di ritorno, in auto, concepii un pensiero blasfemo: “Se per vincere uno scudetto dovevamo passare tutto questo, allora sarebbe stato meglio non vincerlo”. Da allora attendo la verità su quel campionato, se non altro per elaborare il lutto che ancora sento bruciarmi dentro. Ma ancora non la sappiamo. Un enigma paragonabile al terzo segreto di Fatima, di cui ci hanno fatto conoscere solo una parte minima. Un pentito di camorra (Pugliese) anni fa parlò chiaramente di scommesse ma non ci furono riscontri. A una delle prime cene napolista, durante i mondiali del 2010, ricordo feci queste domande, tra una sigaretta e l’altra, a Bruscolotti (eravamo nel suo ristorante). Lui rispose che su quel campionato non avrebbe mai detto nulla. Ebbi una sensazione di omertà in merito. La stessa che provo oggi. A partire da quello che sta accadendo nella società e nella squadra, senza tirare in mezzo le inchieste e le scommesse. Anche io, come Max, sono stato colpito dalla virulenza con cui Mazzarri ha ammesso l’errore di far giocare Vargas con il Cesena. E’ chiaro che il rapporto tra lui e Dela non va bene. E questo quanto ha influito sul doppio binario campionato-Champions? E perché il procuratore di Lavezzi ha detto chiaramente che tra un anno Mazzarri potrebbe non esserci più? Perché il presidente tace a tutto campo? Da napolista lavezziano credo che l’arrivo del cileno comporterà probabilmente la partenza del Pocho: è un delitto parlarne? Rompere questo muro di gomma attorno alla società aiuterebbe anche a fare chiarezza su ruoli e responsabilità, come dimostrano le tante verità sul caso Quagliarella. Io un’idea ce l’ho da tempo e riguarda la mancanza di passione calcistica del presidente. Lui, un giocattolo di successo, già l’ha rotto una volta: il cine-panettone. Quando ci fu il divorzio tra De Sica e Boldi tutti pensarono a una crisi di gelosia tra i due. Boldi, invece, disse. “E’ stata colpa del cinismo di De Laurentiis. Lui pensa solo alla logica del profitto”. La frase per me suona ancora attuale (basta vedere come ha scaricato il campionato a favore dei milioni della Champions) e mi dà l’impressione di voler incantarci tutti con la tiritera del progetto prospettico. In fondo, a che serve l’arrivo di Vargas se non per fare soldi con la vendita del Pocho? Spero ardentemente di sbagliarmi, con tutto il cuore.

Ps (1). Mentre scrivevo, ho visto sul Napolista il pezzo di Gianluigi Trapani. Non credo, caro Gianluigi, che un’ottica manichea ci aiuti a capire la realtà. E poi: le macchine del fango si mettono in azione per fermare i vincitori. Noi il campionato l’abbiamo già buttato. Chi ci deve essere dietro la macchina del fango e i furti ai giocatori: il Chelsea? La Trilateral che ha fatto dimettere Berlusconi  per mettere Monti?

Ps (2). Mi sarebbe piaciuto molto esercitarmi sullo strepitoso pezzo di Napolitano e le anime del Napolista. Primo: perché ho rinfrescato da poco il mio passato da comunista scrivendo la biografia del nostro presidente della Repubblica, omonimo del buon Peppe. Secondo: perché mi onora di un accostamento che mi fa arrossire. Da liceale sognavo di fare il giornalista proprio perché leggevo Luigi Pintor sul Manifesto. Appena sarà possibile parleremo della radice riformista del Napolista e di Mazzarri che tanto ricorda Ingrao all’XI congresso del 1966. Grazie, Peppe.

Fabrizio d’Esposito

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