L’immagine del ct dell’Uruguay sta facendo il giro del mondo, sta riconciliando con il calcio in purezza: niente compassione, solo tanto orgoglio.
Il senso del calcio
“Siamo tutti mortali fino al primo bacio e al secondo bicchiere di vino”. Lo diceva Galeano, uruguaiano e poeta. Noi aggiungiamo: anche fino al secondo goal di Cavani. Il mondiale è di chi se lo prende. è di chi ha qualcosa dentro che spacca ogni previsione. E l’Uruguay ha Tabarez. Facile cadere nella retorica, difficile è non parlarne affatto. L’uomo che si regge sulla sua fame avrà sempre una maniera per restare in piedi, per guardare oltre, per respirare un attimo ancora la voglia di vincere. I suoi ragazzi l’hanno capito, corrono, difendono, si stringono intorno a quel desiderio che mai un Paese intero credeva possibile.
E cosi, a guardare quell’immagine, ci torna in mente il senso del calcio, e ci dimentichiamo degli ingaggi esagerati, dei trasferimenti pompati, della giostra fredda che gli gira intorno e torniamo
al sentimento vero, del pallone per il pallone, e niente altro. Un terribile morbo gli sta togliendo man mano l’uso degli arti, e a malapena riesce a camminare. Lui è rimasto alla guida della Celeste
e dal suo sguardo si capisce che forse non gli era mai sfiorato il dubbio di lasciarla. Da quella panchina, il volto tirato sembra una torcida incessante che guida Laxalt a chiudere come se fosse il migliore esterno del mondo, contro Ronaldo, contro il più forte calciatore del Mondiale in Russia.
La libertà di Tabarez
Tabarez è li, quasi affranto quando Edinson gli chiede il cambio, gli presterebbe le sue gambe perché la malattia è sparita. È sparita nel momento esatto in cui il destro a giro del Matador si è infilato alla sinistra di Rui Patricio. È sparita quando si è alzato in stampella per urlare a Vecino di stringere in mezzo e ai collaboratori di preparare i cambi. Tabarez è vivo ed è fuori dalla tremenda zoppia che ha colpito il calcio moderno. Tabarez è l’incarnazione della poesia sudamericana, dello stato d’animo dei popoli sanguigni e sottomessi solo all’ideale di passione. La sua immagine sta facendo il giro del mondo ma non deve muovere tenerezza e compassione, ma deve stimolare l’orgoglio e l’amore per il calcio, per questo gioco che livella la società come nessuna altra cosa, che detiene lo scettro di maestà del sogno.
Oscar Tabarez è l’uomo più libero in questo momento, perché affida all’anima di una squadra la sua fame, il suo esempio, perché pare che guardandosi negli occhi i ragazzi abbiano detto ” Se lui può guidarci, se lui può stare qui, noi possiamo andare li, dove nessuno ci avrebbe mai mandato. “È con gli esempi che si guidano i popoli non con le parole”. Questa squadra, per tornare a Galeano è già immortale.