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«Sono aziendalista», se Napoli abbracciasse la rivoluzione di Ancelotti

Non scarica sulla società le responsabilità del mercato. Cosa accadrebbe se anche l’ambiente, invece di lamentarsi per la maglia e non solo, diventasse aziendalista

«Sono aziendalista», se Napoli abbracciasse la rivoluzione di Ancelotti

Il rivoluzionario riformista

C’è una rivoluzione in corso, a Napoli. Nessuno l’ha ancora messa a fuoco. Come se non esistesse, come se il conto alla rovescia non fosse già partito. E colpisce che a promuoverla non siano stati i giacobini pronti a vedersela con i sanfedisti. No, è il potere che ha deciso di sfidare la città ma anche il mondo del calcio superando barriere e confini.

Ė una parola, questa rivoluzione, pronunciata non più di una decina di giorni fa, forse meno, dal rivoluzionario riformista con l’accento emiliano che ci piace molto. Magari non è il Comandante che dalle montagne era sceso in città, conquistandola. Quel Comandante oggi ha ripiegato la sua divisa che ha fatto sognare, e veste in giacca e cravatta, come vuole il nuovo padrone, la nuova proprietà.

Il riformista rivoluzionario, intanto, è già il leader gentile di questa rivoluzione che spaccherà in due il mondo del calcio. È Carlo Ancelotti ad averla pronunciata, la parolina magica: «Sono aziendalista».

Si assume e divide oneri e onori

Vi rendete conto? Un tecnico che si assume le responsabilità dell’azienda, una sorta di cogestione della società condividendo oneri e onori. Se dovesse andare bene, il merito va equamente diviso tra tutti. Capito?
Per caso i Sarri, Benitez, Mazzarri, Reja e via via tornando indietro hanno mai dato l’impressione di voler rischiare qualcosa?

Quella di Ancelotti è una rivoluzione dalle conseguenze incalcolabili. Come quando Galileo provò a dire sottovoce che forse magari era la terra a girare attorno al sole e non viceversa.

Ma ci rendiamo conto cosa comporterà l’assunzione di responsabilità del mister Ancelotti? Comodo dire: «Io faccio l’allenatore. È la società che deve comprare e vendere e io mi adeguo».

Comodo, ma anche paraculo e scusate la franchezza. È come con la battuta di Totò che rideva mentre lo bastonavano: «.. E che mi chiamo Pasquale?…». Rido perché hanno sbagliato persona. No, il gioco a scaricabarile non funziona più. Lasciamo stare che sono fastidiosi quei tifosi che si lamentano sempre. Che non gli va mai bene nulla, né gli acquisti né le cessioni. E che vorrebbero sempre il top dei top.

I tormentoni del calciomercato

Che tormentone Cavani, Benzema, Di Maria. Verranno? Qualcosa accadrà entro la fine del calciomercato? Vogliamo essere ottimisti ma ci vogliono ancora diverse settimane prima di sciogliere le riserve. E che vogliamo fare nel frattempo? Imprecare ogni minuto e quarto d’ora?

Il nuovo tormentone di queste ore a Dimaro, però, è un altro: e ti pareva che non facevano schifo? Che le nuove magliette del Napoli con gli animali «non se ponno vere’». Neppure le magliette di De Laurentis-Kappa soddisfano i nostri grandissimi esperti, amanti della estetica, raffinatissimi esponenti dell’alta moda. Niente, siamo irredimibili. Popolo generoso che ama essere all’opposizione di tutto. Meglio non contaminarci con il potere. Città contro da sempre. Anche nel calcio.

Ma se solo i napoletani cogliessero l’importanza del messaggio di mister Ancelotti, mi sento coinvolto in prima persona nelle scelte del Napoli, chissà in quanto tempo anche Napoli cambierebbe in meglio, siamo tutti “aziendalisti”, membri di quell’azienda, la città, che dobbiamo rendere vivibile e lucidata.

È un paradosso questo ragionamento? Vero. Probabile. Ma se anche i napoletani decidessero di trasformare questa spettacolare città come sarebbero felici i nostri Eduardo, Totò, Pino Daniele e Massimo Troisi.

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