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Zazzaroni e la crisi del giornalismo ai tempi di Internet

Sensibile come sono ai dibattiti su giornalismo cartaceo e web, voglio riportare qui le dichiarazioni di Ivan Zazzaroni nel corso della giornata formativa sul tema “Raccontare lo sport.Diritto di cronaca e regole dell’ordinamento sportivo”, tenutasi lunedì scorso presso il Tribunale di Napoli, nella sede dell’Unione Italiana Forense di Napoli, che l’ha organizzata assieme all’associazione Azzurro Lex, del nostro Sergio Longhi. Diversi gli ospiti: il presidente dell’Ordine degli avvocati di Napoli, Francesco Caia, quello dell’Uif partenopea, Marino Iannone, il consigliere dell’Ordine Vincenzo Pecorella, l’ex calciatore azzurro Antonio Carannante, gli avvocati Luca Longhi e Errico Grojo e, appunto, Ivan Zazzaroni. La moderazione era a cura di Lucio Pengue, di Radio Kiss Kiss. Tutto è nato dall’introduzione fatta da Pecorella, che ha iniziato la discussione dicendo che i giornalisti sportivi in realtà nascono giornalisti generici e soltanto in un secondo momento si specializzano in giornalisti sportivi. È da lì che è partito il one man show di Zazzaroni: “non è vero niente, io sono nato giornalista sportivo, poi sono diventato giudice di ballo” ha esordito scatenando l’ilarità generale. Ha spiegato che l’ha fatto soprattutto per sdrammatizzare un ruolo che gli sembrava eccessivo e, da qui, ha iniziato a parlare di come è cambiato il giornalismo. “Ci vuole tanta pazienza, perché è cambiato il pubblico. Con il web si è stravolto il nostro mondo. C’è l’interazione, la presenza quotidiana, il contatto diretto con i protagonisti” ed ha scherzato sulle offese che gli sono rivolte quotidianamente dal pubblico della rete e sugli epiteti con cui viene ripetutamente appellato. Si è poi soffermato su quella che dovrebbe essere la caratteristica principale del giornalista, l’obiettività. “L’obiettività non è più ricercata. Biscardi ha creato il giornalista tifoso, il giornalista di riferimento che ha modificato il nostro ruolo. Il pubblico oggi pretende una visione parziale, non obiettiva della partita” ed ha aggiunto che oggi il livello è bassissimo soprattutto a causa del moltiplicarsi di tv e contenitori di notizie. Insomma, non è più l’obiettività, quella che cercano i giornali. “La verità non fa vendere. Pur di vendere copie oggi si vendono l’emotività, l’emozione, a discapito della realtà. Si fa populismo, non giornalismo. A me fa ribrezzo questo tipo di giornalismo”. Afferma di aver abbandonato per questo la carta stampata. Parla della sua scelta di fare tv, radio e web come di una scelta vincente ma anche priva di tutela. Eppure il web è l’unico posto dove si è completamente liberi di dire ciò che si pensa. “A chi mi chiede cosa deve fare per essere un bravo giornalista rispondo di provare a essere solo sé stesso, di non uniformarsi”. Parla dell’Ordine come di un fallimento “cerchiamo di ricostruirlo noi un muro di categoria, perché l’Ordine, così com’è, è uno schifo”. Altro punto su cui si è soffermato è il fatto che ormai calciatori e allenatori scelgono sempre più spesso di comunicare direttamente attraverso i siti personali o i social network: “Il calcio va affrontato in modo serio, l’80% dei miei colleghi lo fa in modo poco serio. È per questo che gli addetti ai lavori rifiutano il confronto. Vanno direttamente su Twitter e su Facebook perché troppo spesso le loro parole sono travisate. La nostra funzione di mezzo (media) è completamente caduta. E i giornali che fanno? Riprendono le dichiarazioni da Twitter, rialimentandosi della propria sconfitta”. La crisi dei giornali? Dipende anche dalla fatica che ormai è richiesta al lettore “Il giornalista obiettivo non esiste. Ci si mette dentro simpatia, l’esigenza di fare ascolti e vendere copie. Ciò impone al lettore (al telespettatore e all’ascoltatore) un doppio sforzo: capire fino a che punto si stia dicendo proprio ciò che si pensa”. Ilaria Puglia

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