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Siamo sinceri, la partita con l’Inter non conta niente

L’altro giorno, su Twitter, una lettrice – Ida di Martino – ha scritto: «Stiamo diventando troppo soccer addicted o victim. Si discute di calcio come neanche più di politica». Il tema non è nuovo. Ne parlò Gigi Riva in una splendida intervista concessa qualche mese fa al Corriere della Sera: “Adesso mi sembra quasi che vogliano mascherare i problemi del Paese con il calcio, tenendo le persone inchiodate al televisore per non far aprire il frigo vuoto”. Questo incipit apparentemente autocritico non è il preludio a una qualche forma di ravvedimento editoriale, per carità. È – in questo caso – solo uno spunto per riportare nell’alveo della ragionevolezza l’attesa per la partita Inter-Napoli, in programma sabato sera a San Siro.

Giustamente, e fisiologicamente, quotidiani e tv stanno pompando l’evento come se fosse una sfida all’Ok Corral. Gli spunti non mancano. I due allenatori che sfidano il loro passato, le dichiarazioni non certo carine rilasciate da Moratti a proposito della parentesi interista di Benitez – su cui la Gazzetta ha svolto una meritoria opera di chiarezza -, il sempre vivace rapporto a distanza tra Mazzarri e De Laurentiis, nonché la componente nostalgica dei tifosi del Napoli, oltre alla trecento partite in azzurro di Marek Hamsik. Benissimo. Detto e scritto tutto questo, la verità è una: questa partita non serve a niente. Al Napoli interessa proprio zero e all’Inter qualcosina ma non troppo.

Non neghiamo qui, sul Napolista, feudo fondatore del rafaelismo, che la contrapposizione col mazzarrismo c’è stata e c’è ancora. Non sono pochi i tifosi colpiti dalla sindrome del “mi ritorni in mente, bella come sei, come non sei tu”. Ma da rafaeliti non abbiamo alcun timore a dire che baratteremmo molto volentieri una sconftta anche sonante sabato sera con un successo sette giorni più tardi allo stadio Olimpico di Roma. Dovessimo perdere contro la Fiorentina, allora sì che sorbirsi i mazzarriani non sarà piacevole. Stiamo assistendo con un certo stupore alle polemiche di questo scorcio di campionato: un pareggio fuori casa a Udine viene vissuto come una sorta di psicodramma collettivo (alimentato, bisogna riconoscerlo, dalle dichiarazioni post-partita di Rafa), così come la sconfitta di Parma. Il campionato del Napoli non ha più granché da dire. Il terzo posto è praticamente in cassaforte, così come il secondo è aritmeticamente perduto. È fisiologico che la squadra viva cali di concentrazione.

Resta ovviamente il bilancio della stagione. I tanti punti perduti con le squadre medio-piccole; il girone di ritorno al di sotto delle attese e di quello d’andata (terminammo il girone con 42 punti, ora ne abbiamo 68). Va tutto bene, le critiche, i malumori, le insofferenze. Noi la pensiamo in maniera diversa, ma ci sta. Quel che non ci sta è provare a caricare di motivazioni una partita che sarà di rodaggio per il Napoli. Ovviamente speriamo di vincere; abbiamo persino tante possibilità di uscire vittoriosi sabato sera da San Siro. Anche un successo sposterà poco. È una sfida preparatoria. La rivincita, se di rivincita vogliamo parlare, ma anche questo termine è improprio, ci fu all’andata. Vincemmo 4-2, eravamo appena usciti dalla Champions con le lacrime di Higuain e l’Inter era più vicina in classifica. La partita poteva avere un suo significato anche perché ci sentivamo ancora in corsa per il titolo.

Sabato sera, a Milano, nessuno piangerà. Lacrime, invece, potrebbero essere versate all’Olimpico. Non sappiamo ancora se di gioia o di amarezza. Vedremo. Resta quello l’ultimo atto del primo anno di Benitez. Noi, come sapete, ci stiamo preparando psicologicamente grazie al racconto a puntate di Vittorio Zambardino.
Massimiliano Gallo

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