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Caro Stato, così è dura continuare a difenderti

E insomma caro Stato, diciamo la verità, ci hai lasciati soli. È dura continuare a difenderti. È dura provare a convincere chi ha fischiato l’inno che ha compiuto un gesto sbagliato. È dura. Durissima. Non solo per tutto quel che è successo negli stadi in questo anno. Ci hanno detto di tutto, e tu lo sai. Hanno inneggiato al Vesuvio, ci hanno ricordato che abbiamo avuto il terremoto (tra l’altro ormai siamo in ottima compagnia) e abbiamo conosciuto il colera. E pretendono anche l’impunità. Vogliono farlo liberamente. Sono sfottò, dicono. Tutti, persino il nostro presidente De Laurentiis.

È vero, Stato, tu hai resistito quest’anno. Hai comminato sanzioni a tutte le società. Ma è stata solo una prova di forza. E alla prima occasione quel sentimento anti-Napoli lo hai cavalcato. Sapendo di poter contare sul mondo dell’informazione che dall’inizio ha invertito l’onere della “prova mediatica” e messo in prima pagina la trattativa che tu Stato hai fatto (anche giustamente in quelle condizioni, per carità) e trascurato un quasi omicidio che tu, Stato, con la tua inefficienza hai consentito che avvenisse.

Perché, caro Stato, sabato tu non ci hai capito niente. E questa è l’ipotesi più benevola. Da quel che apprendiamo, qualcuno (Aurelio De Laurentiis scrive il Mattino) aveva persino avanzato dubbi sul piano che avevi predisposto. Piano che due anni fa aveva funzionato alla perfezione, tagliando in due la città. Sabato, invece, ha fatto acqua da tutte le parti. Ti sei trovato scontri ovunque. Davanti allo stadio, dentro allo stadio. E lungo il percorso Saxa Rubra-stadio Olimpico, come testimonia il racconto di un agente in servizio sabato. Un agente che si è sentito smarrito, scaricato dai suoi vertici. E mandato al massacro. La sua testimonianza è inquietante.

Ancor più inquietante, caro Stato, è quel che scrive oggi Antonello Velardi sul Mattino, quotidiano dove ieri è stata recapitata una lettera minatoria indirizzata a “Genny la carogna” con un proiettile all’interno. Così Velardi comincia il suo articolo: “Tra le ipotesi prese in considerazione dagli inquirenti circa l’identità del mittente della busta con minacce e con proiettile fatta recapitare ieri al Mattino c’è anche quella che conduce a frange ambigue delle forze dell’ordine”. Inquietante al cubo. E nel suo articolo, Velardi – che è quanto di più lontano possa esserci dal mondo ultras o no global, tanto per chiarire – si sofferma sul malessere che serpeggia nelle forze di polizia (o meglio, in parte di esse) in tempi di spending review e polemiche sulla morte del povero Aldrovandi.

Inquietanti, caro Stato, furono le parole con cui tre giorni fa il prefetto Pecoraro chiuse l’intervista concessa a Carlo Bonini di Repubblica. «Mi chiedo se sia utile delegittimare le istituzioni dal lunedì al sabato. Penso non solo alle ultime polemiche sulla polizia (il riferimento è proprio all’applauso ai poliziotti condannati per Aldrovandi, ndr) ma anche a quale percezione possa oggi trasmettere una figura come la mia, di cui appena ieri si è finito di spiegare l’inutilità in una logica di tagli e di spending review». E ancora: «Dovremmo decidere con responsabilità di evitare, anche nell’uso delle parole, che si creino le condizioni per cui in questo Paese finisca per contare più un Genny ’a carogna che un funzionario dello Stato».

E tre. Se a questo aggiungiamo quel che abbiamo già scritto, cioè l’inverosimile superficialità con cui è stato organizzato un evento considerato ad altissimo rischio, il quadro è pericolosamente completo.

Caro Stato, due anni fa, per la finale Napoli-Juventus, c’era polizia per ogni dove, sembrava un teatro di guerra. (Poi per carità si può discutere di una partita di calcio che si trasforma in una battaglia, ma questo è un altro discorso). Sabato non c’era un agente nemmeno a pagarlo. Non è un caso che non si riesca a sapere quanti agenti fossero in servizio. Ma davvero la polizia non sapeva che lungo il percorso verso lo stadio c’era il circolo gestito da De Santis e i suoi amici romanisti e nazisti? Chi ci crede?

Caro Stato, anche la foglia di fico Genny ’a carogna (tutt’altro che uno stinco di santo, ma perfetto per rubare la scena mediatica: dall’aspetto lombrosiano al soprannome perfetto per i titolisti fino alla maglietta) non regge più. Chi gli ha dato il biglietto per entrare allo stadio? E, soprattutto, chi in questi anni gli ha concesso tanto potere al punto da essere nominato – da te, Stato – mio sindacalista sul campo? Tu hai dovuto chiedere permesso a lui per giocare la partita (a proposito, la stessa scena è avvenuta nella curva fiorentina) e due giorni dopo lo hai bandito dagli stadi per averlo fatto. Ti stai coprendo di ridicolo, Stato. Fattelo dire da chi vorrebbe essere tutelato da te. E vorrebbe difenderti.

Vedi, caro Stato, io, noi, allo stadio vorremmo andare in pace, senza nessuna tutela sindacale. Con le nostre bandiere, sciarpe e sorridenti. Tu ci devi assicurare che questo avvenga. Che io possa tifare liberamente. Tutto il resto lo devi eliminare tu. Trova tu il modo. Puoi anche fermare il calcio, se necessario. Farlo giocare a porte chiuse. Quello che vuoi. Ma non puoi giocare una partita politica a spese dei cittadini, di chi compra un biglietto per assistere a uno spettacolo. E non vogliamo entrare nella logica del noi e loro, lo abbiamo già scritto. Il “noi” e “loro” per il Napolista è chi va allo stadio con le sciarpe e chi con le bombe. E tu ci devi tutelare.

Mentre scriviamo, abbiamo letto dell’arresto di Claudio Scajola. Già stamattina sui quotidiani nazionali la storia di Napoli è arretrata nella foliazione. Da domani, probabilmente, lo spazio sarà ancora più esiguo. E la verità – che noi ora possiamo solo immaginare – non verrà mai fuori. E se Genny e i suoi usciranno da questa storia come degli eroi, caro Stato, la colpa è tua. Te la sei cercata. Nel peggiore dei modi.
Massimiliano Gallo

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